Riflettevo su questa giornata di protesta che, a grandi linee, mi trova ovviamente d’accordo. Anche io non sono affatto contenta del presidente del consiglio che gli italiani hanno votato alle ultime elezioni.
Se devo essere sincera però non credo che, se fossi stata a Roma, sarei scesa in piazza a manifestare.
Cerco di spiegare i miei perchè.
Ho detto di non essere affatto contenta di come tutta la politica italiana si sta evolvendo. Continuo - sono anni ormai - a non trovare nessun partito, nessun uomo che mi ispiri una qualsiasi fiducia, stima, rispetto.
Non ho votato Berlusconi, ma come cittadina alle ultime elezioni avrei tanto desiderato poter dare sulla scheda il mio voto al signor nessuno. E ad oggi la penso ancora così. Non ci sto a votare il male minore, anche perchè al momento attuale non vedo nessuna valida alternativa.
In tutto questo trovo inoltre ormai alquanto irritante la campagna di demonizzazione del presidente del consiglio messa in atto dall’opposizione. Io so benissimo chi è il signor Berlusconi, non l’ho votato, non lo voterò mai e non ho bisogno di Di Pietro o di qualche fantoccio del partito democratico che mi mostri chi è che sta governando questo paese. Questa campagna di anti-berlusconismo secondo me non sta producendo nessun risultato dal punto di vista del miglioramento del governo e della situazione politica (e non solo) del nostro paese.
Chi non ha votato Berlusconi probabilmente continuerà a non votarlo, qualcuno parteciperà al No B-day, qualcun altro no. Ma passiamo a chi invece ha votato Berlusconi. Io penso che chi ha votato l’attuale presidente del consiglio non farà altro che credere alle sue parole, al suo pretestuoso vittimismo ed al suo attacco incondizionato che schiera per difendersi da un altro attacco.
Viviamo nell’Italia degli attacchi mediatici, i politici fanno spettacolo e noi tutti ne facciamo parte, chi attonito, chi entusiasta, chi indifferente partecipiamo al teatrino. E domani, il NO B-Day sarà un bell’atto di tale teatro. Sono sempre scesa in piazza a manifestare quando ho creduto in qualcosa, alcune volte con poca consapevolezza, altre con un pò di più. Domani consapevolmente dico che non scenderò in piazza nonostante m’appartenga il desiderio che Berlusconi non sia più il presidente del consiglio italiano.
Rivolgo infine qualche parola ed un pò d’attenzione a tutta quella sinistra e a quell’opposizione che dovrebbe essere un’alternativa all’attuale governo. Io non vedo questa alternativa. Vedo persone ignoranti, abili solo a dire tante inutili parole, incapaci di creare, di calarsi effettivamente nel ruolo che dovrebbero assumere. Nessun politico ormai sa più fare il suo lavoro ed io forse è per questo che la prossima volta vorrei scendere in piazza. Io mi vergogno di Berlusconi, ma non credo che andrei altrettanto fiera di chiunque altro al momento si presenta come alternativa. L’alternativa a Berlusconi oggi non ha altro nome se non no-Berlusconi. Le parole coinvolte sono sempre le stesse.
Io invece cerco aria nuova, pulita. Un’aria che non rinasca dalle ceneri di un pessimo governo ma che sorga nuova. Con nuove idee, nuove iniziative che finalmente facciano la differenza. Perchè allo stato attuale delle cose io di differenze, a destra, al centro, a sinistra, ne vedo poche. Soprattutto non vedo più nessuno che sia in grado di gestire questo paese senza mandarlo a rotoli, senza distruggerlo.
Veramente non trovo le parole per dire quanto mi faccia schifo la politica in questo momento e quanto sia grave che ci lasciamo governare da una massa di incapaci ed ignoranti. Manca cultura, manca coscienza del lavoro che i politici stessi si assumono, perchè ormai fare il politico è diventato spettacolo, visibilità e il governo, la gestione di un paese si giocano tutti su questa visibilità e non sulle competenze, sulla preparazione, sulla cultura, sulle capacità. E’ per questo che credo stia morendo anche la democrazia in questo paese. Perchè come cittadina che non si sente rappresentata credo di avere diritto ad esprimere questa non rappresentanza. La politica è cambiata, devono allora cambiare anche i sistemi di accesso e di voto alla politica. Io desidero che mi venga riconosciuto il diritto di votare il signor nessuno. Di lasciare in parlamento una poltrona vuota. Per me il male minore ad oggi è solo essere rappresentata dal signor nessuno, in attesa che qualcosa o qualcuno cambi veramente.
venerdì 4 dicembre 2009
giovedì 12 novembre 2009
Un amico m'ha detto....
Un amico leggendo il mio blog m’ha detto che era triste. E mi ha chiesto se stessi bene.
Mi dispiace che sia questo il messaggio immediato, che almeno per qualcuno, trapela da queste prime parole...
Sicuramente viviamo in un periodo storico triste, di conseguenza se ci si guarda attorno, non c’è molto da stare allegri...anzi, si potrebbe essere decisamente pessimisti.
Ma io non è così che affronto le cose. Le mie parole spesso sono d’amarezza, di sconforto, di nostalgia per qualcosa che sento mancare al mondo che mi circonda, non il mio solo, quello di tutti.
In questo un pò triste lo sono. Ma credo anche che non si possa sentire nostalgia per qualcosa che non sai cosa sia.
Mi spiego. Ho nostalgia di serenità, di uguaglianza, di diritti, di libertà, di fiducia, di cultura, di unione, di poesia, di forza, di rispetto.
Sono questi valori che credo essere fondamentali nella società in cui viviamo, eppure ne sento la mancanza. Ecco da cosa deriva la mia nostalgia, la mia tristezza. Credo che senza questi valori la nostra storia sicuramente sarà più buia, meno felice.
Ma io questi valori al tempo stesso li porto nel petto. Altrimenti non mi mancherebbero.
Per questo dentro di me non mi sento triste...Ogni tanto può capitare, come a tutti, ma non sto parlando della quotidianità, delle volte un pò difficile, che chi più chi meno ci troviamo ad affrontare.
Fondamentalmente, nonostante tutto, io sono una persona molto ottimista. Ho fiducia negli altri, e nell’essere umano, almeno ci provo. Soprattutto ho fiducia che le cose possano essere diverse. Credo nei sorrisi, nella capacità delle persone di aiutarsi, di cambiare e di rinnovarsi e nonostante davanti agli occhi mi passino continuamente parole e fatti veramente negativi, sono fortemente convinta che si possa star meglio.
Le parole volano via in fretta e seguendo le persone, possono cambiare, adattarsi a vecchi tempi, al presente ed a tempi nuovi che spero saranno decisamente migliori. Se così non fosse, con tutta l’amarezza del caso, ad oggi io posso comunque ritenermi serena, aggrappata ai miei se pur banali valori. Non è facile affrontare la realtà, basta poco ad indignarsi, ed è questo poco che le mie parole spesso esprimono, ma mi considero fortunata, perchè a me sinceramente, basta anche poco per meravigliarmi. E sognare.
Mi dispiace che sia questo il messaggio immediato, che almeno per qualcuno, trapela da queste prime parole...
Sicuramente viviamo in un periodo storico triste, di conseguenza se ci si guarda attorno, non c’è molto da stare allegri...anzi, si potrebbe essere decisamente pessimisti.
Ma io non è così che affronto le cose. Le mie parole spesso sono d’amarezza, di sconforto, di nostalgia per qualcosa che sento mancare al mondo che mi circonda, non il mio solo, quello di tutti.
In questo un pò triste lo sono. Ma credo anche che non si possa sentire nostalgia per qualcosa che non sai cosa sia.
Mi spiego. Ho nostalgia di serenità, di uguaglianza, di diritti, di libertà, di fiducia, di cultura, di unione, di poesia, di forza, di rispetto.
Sono questi valori che credo essere fondamentali nella società in cui viviamo, eppure ne sento la mancanza. Ecco da cosa deriva la mia nostalgia, la mia tristezza. Credo che senza questi valori la nostra storia sicuramente sarà più buia, meno felice.
Ma io questi valori al tempo stesso li porto nel petto. Altrimenti non mi mancherebbero.
Per questo dentro di me non mi sento triste...Ogni tanto può capitare, come a tutti, ma non sto parlando della quotidianità, delle volte un pò difficile, che chi più chi meno ci troviamo ad affrontare.
Fondamentalmente, nonostante tutto, io sono una persona molto ottimista. Ho fiducia negli altri, e nell’essere umano, almeno ci provo. Soprattutto ho fiducia che le cose possano essere diverse. Credo nei sorrisi, nella capacità delle persone di aiutarsi, di cambiare e di rinnovarsi e nonostante davanti agli occhi mi passino continuamente parole e fatti veramente negativi, sono fortemente convinta che si possa star meglio.
Le parole volano via in fretta e seguendo le persone, possono cambiare, adattarsi a vecchi tempi, al presente ed a tempi nuovi che spero saranno decisamente migliori. Se così non fosse, con tutta l’amarezza del caso, ad oggi io posso comunque ritenermi serena, aggrappata ai miei se pur banali valori. Non è facile affrontare la realtà, basta poco ad indignarsi, ed è questo poco che le mie parole spesso esprimono, ma mi considero fortunata, perchè a me sinceramente, basta anche poco per meravigliarmi. E sognare.
mercoledì 11 novembre 2009
Riflessione fuori contesto
..tratta da un libro di Biblioteconomia, ma è così vera, universale e applicabile ad altro...
"Ogni volta che una trasformazione metterà in discussione le nostre certezze, avremo fatto un passo avanti verso l'individuazione dei contenuti reali...."
G.Solimine
"Ogni volta che una trasformazione metterà in discussione le nostre certezze, avremo fatto un passo avanti verso l'individuazione dei contenuti reali...."
G.Solimine
Una poesia...
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
G.UNGARETTI
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
G.UNGARETTI
martedì 10 novembre 2009
Ragazzi palestinesi
Visto che oggi, parlando di muro mi è venuta in mente la Palestina...aggiungo delle parole, vecchie di qualche anno...risalgono ad un incontro che ho avuto ormai un pò di tempo fa con dei ragazzi Palestinesi di Gaza in visita a Roma...un pensiero in particolare va ad uno di loro, Hazem, un grande artista che mi ha insegnato qualche segreto 'da applicare ai miei disegni'...
"Ho ascoltato un ragazzo. Mi ha parlato della sua vita.
E’ uno studente universitario, ogni mattina si sveglia, si prepara ed esce, ma prima saluta la madre, l’abbraccia; ogni mattina potrebbe essere l’ultima, potrebbe non tornar più. Sulla strada deve fare diverse soste, potrebbe arrivar tardi a lezione, potrebbe non arrivarci proprio, ma lui ci prova. Davanti ad un muro si ferma, si lascia perquisire, umiliare per l’ennesima volta, procede. Ci sono dei giorni in cui riesce ad arrivare sino all’università, altri no..in sei mesi lui è riuscito ad andare all’università per ben quindici volte circa..ed ogni volta non sa se potrà tornare a casa, non sa se potrà camminare sulla stessa strada, non sa se dovrà rispettare un coprifuoco né per quanto tempo, non sa se lo faranno passare ai posti di blocco o se dovrà rimanere a dormire per strada, dove capita, se capita di poter dormire. Tutte queste cose non le sa perché non è lui a deciderle.
Ho ascoltato un altro ragazzo.Camminava per strada con la sua ragazza ma sono stati fermati. Hanno aspettato ore, non sapevano perché, non lo sa nessuno. Davanti ai suoi occhi hanno cominciato ad infastidire la ragazza, pesantemente, a toccarla. Lui non poteva fare nulla. Lui guardava la canna del fucile. Il pensiero della morte, non si sa come, dominava la sua doppia umiliazione, la sua sofferenza.
Ho ascoltato un ragazzo, non avrà avuto più di vent'anni. Frequenta il liceo. Un giorno all’uscita da scuola, con alcuni amici ha lanciato dei sassi contro ciò che più li umiliava. In risposta ha ricevuto pallottole. E’ stato colpito al bacino, ha subito dodici ore di sala operatoria, tre mesi in rianimazione, sei mesi di fisioterapia. Ha perso l’anno scolastico, è tornato a scuola e si è reso conto di aver perso anche un amico, un sasso gli era costato la vita.
Ho ascoltato tante altre parole, tante altre voci: quelle di chi vive per decisione di altri, di chi vive nell’umiliazione quotidiana, di chi deve chiedere un permesso anche per essere curato o per comprare da mangiare, di chi ogni volta che esce di casa deve salutare tutti perché non sa se tornerà più. Ho ascoltato le parole di chi non chiede pietà ma solo dignità, libertà di sopravvivere.
Dimenticavo, ho ascoltato le parole di alcuni giovanissimi ragazzi palestinesi."
"Ho ascoltato un ragazzo. Mi ha parlato della sua vita.
E’ uno studente universitario, ogni mattina si sveglia, si prepara ed esce, ma prima saluta la madre, l’abbraccia; ogni mattina potrebbe essere l’ultima, potrebbe non tornar più. Sulla strada deve fare diverse soste, potrebbe arrivar tardi a lezione, potrebbe non arrivarci proprio, ma lui ci prova. Davanti ad un muro si ferma, si lascia perquisire, umiliare per l’ennesima volta, procede. Ci sono dei giorni in cui riesce ad arrivare sino all’università, altri no..in sei mesi lui è riuscito ad andare all’università per ben quindici volte circa..ed ogni volta non sa se potrà tornare a casa, non sa se potrà camminare sulla stessa strada, non sa se dovrà rispettare un coprifuoco né per quanto tempo, non sa se lo faranno passare ai posti di blocco o se dovrà rimanere a dormire per strada, dove capita, se capita di poter dormire. Tutte queste cose non le sa perché non è lui a deciderle.
Ho ascoltato un altro ragazzo.Camminava per strada con la sua ragazza ma sono stati fermati. Hanno aspettato ore, non sapevano perché, non lo sa nessuno. Davanti ai suoi occhi hanno cominciato ad infastidire la ragazza, pesantemente, a toccarla. Lui non poteva fare nulla. Lui guardava la canna del fucile. Il pensiero della morte, non si sa come, dominava la sua doppia umiliazione, la sua sofferenza.
Ho ascoltato un ragazzo, non avrà avuto più di vent'anni. Frequenta il liceo. Un giorno all’uscita da scuola, con alcuni amici ha lanciato dei sassi contro ciò che più li umiliava. In risposta ha ricevuto pallottole. E’ stato colpito al bacino, ha subito dodici ore di sala operatoria, tre mesi in rianimazione, sei mesi di fisioterapia. Ha perso l’anno scolastico, è tornato a scuola e si è reso conto di aver perso anche un amico, un sasso gli era costato la vita.
Ho ascoltato tante altre parole, tante altre voci: quelle di chi vive per decisione di altri, di chi vive nell’umiliazione quotidiana, di chi deve chiedere un permesso anche per essere curato o per comprare da mangiare, di chi ogni volta che esce di casa deve salutare tutti perché non sa se tornerà più. Ho ascoltato le parole di chi non chiede pietà ma solo dignità, libertà di sopravvivere.
Dimenticavo, ho ascoltato le parole di alcuni giovanissimi ragazzi palestinesi."
La caduta di un muro?
Giusto due parole,in occasione dell’anniversario dell’abbattimento del muro di Berlino, notizia che imperversa ovunque, sui giornali, sui telegiornali e su internet. Un inno corale alla democrazia, alla libertà, al cambio storico ed epocale che quella caduta ha portato.
Siamo tutti felici, no?!
Ma quale democrazia, quale felicità, quale conquista mi domando soprattutto.
I capi di stato riuniti a Berlino in una auto-celebrazione che mai m’è sembrata più falsa ed ipocrita: viviamo infatti in un periodo storico che sta di nuovo rialzando i muri, visibili ed invisibili.
Chi ieri era a celebrare la caduta del muro di Berlino, oggi e l’altro ieri è ed è stato il primo ad erigere i muri dell’intolleranza, della lotta all’immigrazione, della lotta al diverso e dell’elogio alla divisione che qualsiasi muro, visibile ed invisibile crea. Ed oggi i muri invisibili sono fin troppi, e che senso ha quindi festeggiare la caduta di un muro, avvenuta vent’anni fa, quando la storia tra l’altro era decisamente altra, e da essa non abbiamo imparato niente?
Ma senza parlare degli astratti muri invisibili, guardiamo la visibilità anche.
Gli stessi capi di stato che ieri erano a Berlino con i loro sorrisi e le loro belle parole di democrazia, avallano la politica di Israele che di muro ne ha costruito uno vero, che non è stato abbattuto, che non verrà abbattuto nei prossimi giorni e del quale non si celebrerà nessuna ricorrenza. Un muro di separazione, di violenze e di soprusi ai quali però tutti preferiamo non guardare, ai quali preferiamo convincerci che ci sia una buona spiegazione. Non credo che ci siano molte differenze dalla ‘Barriera di protezione antifascista’ eretta nel 1961.
Siamo tutti rivolti verso la festa, verso l’inno alla democrazia proveniente dalla Germania che ci chiama, ci fa sentire orgogliosi di avere lottato, in passato, per conquistare la libertà e l’unione. La terribile libertà di poter chiudere le frontiere e far morire centinaia di immigrati, la terribile libertà di essere rivolti ad una festa e di avere alle spalle l’orrore, abbastanza lontano da non sentirne nell’immediato le conseguenze. Il senso di unione che ci fa chiudere al diverso che quel senso potrebbe farcelo sprofondare nel vuoto. E allora, quali sono le conquiste che si stanno festeggiando?
Senza nulla togliere ai cambiamenti che quel 9 novembre 1989 ha portato nella storia mondiale, io non mi sento affatto partecipe di questa grandiosa festa che si celebra oggi.
Perchè dalla caduta di un muro sono passati vent’anni in cui di mura ne sono state erette troppe.
Concludo con un pensiero al popolo palestinese. E mi domando come ci si possa sentire a vedere alla televisione, su internet i festeggiamenti di ieri sera, avendo la coscienza di vivere dietro ad un muro e sotto violenze che quegli stessi festeggiamenti e festeggiatori approvano. E poi ci domandiamo perchè ci odiano.
Siamo tutti felici, no?!
Ma quale democrazia, quale felicità, quale conquista mi domando soprattutto.
I capi di stato riuniti a Berlino in una auto-celebrazione che mai m’è sembrata più falsa ed ipocrita: viviamo infatti in un periodo storico che sta di nuovo rialzando i muri, visibili ed invisibili.
Chi ieri era a celebrare la caduta del muro di Berlino, oggi e l’altro ieri è ed è stato il primo ad erigere i muri dell’intolleranza, della lotta all’immigrazione, della lotta al diverso e dell’elogio alla divisione che qualsiasi muro, visibile ed invisibile crea. Ed oggi i muri invisibili sono fin troppi, e che senso ha quindi festeggiare la caduta di un muro, avvenuta vent’anni fa, quando la storia tra l’altro era decisamente altra, e da essa non abbiamo imparato niente?
Ma senza parlare degli astratti muri invisibili, guardiamo la visibilità anche.
Gli stessi capi di stato che ieri erano a Berlino con i loro sorrisi e le loro belle parole di democrazia, avallano la politica di Israele che di muro ne ha costruito uno vero, che non è stato abbattuto, che non verrà abbattuto nei prossimi giorni e del quale non si celebrerà nessuna ricorrenza. Un muro di separazione, di violenze e di soprusi ai quali però tutti preferiamo non guardare, ai quali preferiamo convincerci che ci sia una buona spiegazione. Non credo che ci siano molte differenze dalla ‘Barriera di protezione antifascista’ eretta nel 1961.
Siamo tutti rivolti verso la festa, verso l’inno alla democrazia proveniente dalla Germania che ci chiama, ci fa sentire orgogliosi di avere lottato, in passato, per conquistare la libertà e l’unione. La terribile libertà di poter chiudere le frontiere e far morire centinaia di immigrati, la terribile libertà di essere rivolti ad una festa e di avere alle spalle l’orrore, abbastanza lontano da non sentirne nell’immediato le conseguenze. Il senso di unione che ci fa chiudere al diverso che quel senso potrebbe farcelo sprofondare nel vuoto. E allora, quali sono le conquiste che si stanno festeggiando?
Senza nulla togliere ai cambiamenti che quel 9 novembre 1989 ha portato nella storia mondiale, io non mi sento affatto partecipe di questa grandiosa festa che si celebra oggi.
Perchè dalla caduta di un muro sono passati vent’anni in cui di mura ne sono state erette troppe.
Concludo con un pensiero al popolo palestinese. E mi domando come ci si possa sentire a vedere alla televisione, su internet i festeggiamenti di ieri sera, avendo la coscienza di vivere dietro ad un muro e sotto violenze che quegli stessi festeggiamenti e festeggiatori approvano. E poi ci domandiamo perchè ci odiano.
lunedì 9 novembre 2009
Trenitalia...(di qualche mese fa ma sempre attuale..)
14/09/2009 TRENITALIA
Venerdì 12 settembre mi reco alla stazione di Torino porta Nuova per prendere un treno. Mi si prospettava un tranquillo weekend al mare, in Liguria.
Come sono solita fare, prendo il biglietto del treno alla biglietteria automatica, provvista anche di obliteratrice. E come al solito, appena mi ritrovo il biglietto tra le mani provvedo alla relativa convalida, obbligatoria per i treni regionali. Ma questa volta – strano – l’obliteratrice della macchina era fuori uso...così, mi dirigo al binario. Alzo la testa verso il tabellone per cercare il mio treno.
Identifico il binario. Salgo, appena in tempo per la partenza.
Mp3 nell’orecchio, libro sotto gli occhi e treno che viaggia verso il mare. Passa il controllore. Gli porgo il biglietto, serena, come sempre. Ad un certo punto vedo il signore controllore che fermo davanti a me gesticola. Spengo la musica che continuavo ad ascoltare. E lui: “Manca qualcosa....”.
In quel momento ho realizzato che m’ero dimenticata, nel passaggio dalla macchina automatica al binario, di cercare una obliteratrice funzionante. Mia colpa, smemorata. Anche se, quando mi preannuncia una multa di 50 euro, mi balza il cuore in gola. La prima cosa che mi viene in mente è che una piccola giustificazione ce l’ho anche io. E che non ero in cattiva fede, ma la prima obliteratrice era rotta e poi, in effetti, treno in partenza, m’ero dimenticata di cercarne un’altra.
Il controllore mi fa notare che avrei dovuto avvisarlo. Ma io, abituata ad obliterare il biglietto al momento dell’acquisto, mi ero dimenticata che questa volta non avevo potuto farlo. Quindi, in totale buona fede, come avrei potuto avvisare il controllore?!
Comunque, deve avermi creduto, o aver avuto pietà, mi ha fatto una multa come se lo avessi avvisato, quindi 5 euro e tante raccomandazioni di obliterare sempre il biglietto. Grunf.
Mi dimentico abbastanza presto dell’accaduto, il mare ed il sole aiutano, al punto che decido di posticipare il ritorno, previsto per domenica sera, al mattino presto di lunedì. In previsione di una partenza alle 7 del mattino penso di comprare i biglietti la domenica. Mi reco nella stazione di Rapallo, dove la biglietteria è chiusa ‘per malattia’, così riporta un foglio appeso fuori. Allora mi dirigo verso l’unica macchinetta automatica presente ma, essendoci una coda interminabile, vado a godermi il mare e rimando alla sera l’acquisto del biglietto.
Alle 19 ripasso in stazione e da lontano vedo la macchinetta libera, esulto sino a che non arrivo lì davanti...schermo vuoto blu...macchinetta guasta. Una signora che doveva cambiare un biglietto decide di chiamare il numero verde...ma non riceve risposta, gli operatori ‘sono sempre occupati’. Io invece decido di svegliarmi un pò prima al mattino successivo.
Alle 630 arrivo in stazione. C’è fermento, è un piovoso lunedì mattina, primo giorno di scuola per molti studenti. Mi dirigo verso la biglietteria ma reca ancora appeso il cartello del giorno prima. Macchinetta automatica idem, stesso schermo blu. Decido di chiamare io il numero verde, ma anche alle sette del mattino ‘gli operatori sono sempre occupati’. Mi reco al vicino tabacchi, per chiedere un consiglio, che è stato di recarmi in un’altra stazione per comprare il biglietto. Ma avrei perso il treno. Allora compro un biglietto a fascia chilometrica sino a Genova, non oltre. Essendo tali biglietti solo regionali non potevo farlo sino a Torino dove ero diretta.
Infine, salgo sul binario, mi affaccio al tabellone degli orari e con piacere noto che il mio treno porta 20 minuti di ritardo. Così, ancora preoccupata per non essere in possesso del titolo di viaggio, decido di seguire il consiglio del giornalaio e recarmi alla stazione successiva per completare l’acquisto. A Santa Margherita Ligure la biglietteria è aperta, chiedo delucidazioni su cosa mi sarebbe accaduto se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio imparziale, e la gentile signora mi dice che quando una biglietteria è chiusa per malattia il capotreno è avvisato, quindi basta andare da lui e farglielo presente, ‘non si dovrebbero pagare multe’. Interessante condizionale.
Compro infine il biglietto da Genova a Torino. Notando tra l’altro che la somma del chilometrico e della tratta aggiuntiva è maggiore del costo del solito biglietto Torino/Rapallo. Ma sono pochi spiccioli...Ritorno sul binario e noto che il ritardo del mio treno non è più di venti minuti ma di trenta. Decido allora di andare a fare colazione. Torno e noto che il ritardo del mio treno è arrivato a 40 minuti. Insomma, senza tirarla troppo per le lunghe, il ritardo arriverà sino ai 50 minuti. Ed io che dovevo partire alle 7.14, salirò sul treno alle 8.04. Ma, a consolarmi - se di consolazione si può parlare - ci sono i binari ricoperti da miriadi di persone preoccupate, che telefonano sui posti di lavoro per avvisare che arriveranno in ritardo. Il mio treno insomma non è l’unico ritardatario, sono in buona compagnia! E poi c’è sempre la voce registrata di Trenitalia, femminile e rassicurante, che continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Nel frattempo mi domando se è stato il temporale ad aver creato tutto questo trambusto...e ancora deve arrivare l’autunno vero! Intanto il primo temporale della stagione fa ammalare il personale, chiudere le biglietterie, rompere le macchinette automatiche, tiene occupati gli operatori dei call center e produce ritardi record su quasi tutti i treni!
Ed io rimugino, sorridendo perchè la vita va presa con filosofia, ma anche con una sensazione di rodimento dentro che mi si trascina, non so bene perchè!
E la simpatica voce continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Anche io mi ero scusata col controllore per essermi dimenticata di obliterare. E probabilmente mi sarei scusata se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio incompleto. Perchè io sono fatta così, se non faccio il mio dovere, anche se non è colpa mia, mi scuso.
Anche Trenitalia, quando non fa il suo dovere si scusa. Menomale, è buona educazione.
Però c’è una differenza. Che io oltre a scusarmi, pago anche le conseguenze delle mie – anzi, in realtà anche di qualcun altro - mancanze, anche se le mancanze non sono premeditate. Spesso e comunque vengono considerate tali, non si dubita della malafede delle persone e quindi, le persone devono pagare.
Invece noi utenti, noi cittadini che usufruiamo di un disservizio, continuo – perchè ho raccontato un solo episodio ma sono sicura che potrei aggiungerne mille altri – non possiamo in alcun modo far pagare l’incapacità cronica di gestire un servizio che farebbe vergognare chiunque. Ma è anche questa forse la privatizzazione di Trenitalia, un decadimento ed uno sfacelo che ormai passa nel silenzio assenso di tutti i viaggiatori. Pur perchè, che senso avrebbe parlare?! Che senso lamentarsi?! Qui non cambia mai niente. O forse siamo noi persone che non facciamo cambiare le cose? Si potrebbe aprire un sin troppo lungo dibattito.
Concludo ripensando ad una signora che è salita sul treno ritardatario qualche fermata dopo la mia.
Vede acqua per terra (la giornata piovosa imperversava) e si meraviglia perchè il treno (che tra l’altro era lercio come sempre i regionali) era stato pulito, assoggettando a tale pulizia - un pò d’acqua sporca sul pavimento - il ritardo. Non sto scherzando, ma forse questo episodio mi ha riconsegnato alla convinzione, nonché rassegnazione, che finché la gente non si sveglia, non apre gli occhi, le cose no che non cambiano. Ma forse alle 8 di un piovoso lunedì mattina, 14 settembre, conclusione dell’estate...insomma, è ancora presto per aprire gli occhi!
Venerdì 12 settembre mi reco alla stazione di Torino porta Nuova per prendere un treno. Mi si prospettava un tranquillo weekend al mare, in Liguria.
Come sono solita fare, prendo il biglietto del treno alla biglietteria automatica, provvista anche di obliteratrice. E come al solito, appena mi ritrovo il biglietto tra le mani provvedo alla relativa convalida, obbligatoria per i treni regionali. Ma questa volta – strano – l’obliteratrice della macchina era fuori uso...così, mi dirigo al binario. Alzo la testa verso il tabellone per cercare il mio treno.
Identifico il binario. Salgo, appena in tempo per la partenza.
Mp3 nell’orecchio, libro sotto gli occhi e treno che viaggia verso il mare. Passa il controllore. Gli porgo il biglietto, serena, come sempre. Ad un certo punto vedo il signore controllore che fermo davanti a me gesticola. Spengo la musica che continuavo ad ascoltare. E lui: “Manca qualcosa....”.
In quel momento ho realizzato che m’ero dimenticata, nel passaggio dalla macchina automatica al binario, di cercare una obliteratrice funzionante. Mia colpa, smemorata. Anche se, quando mi preannuncia una multa di 50 euro, mi balza il cuore in gola. La prima cosa che mi viene in mente è che una piccola giustificazione ce l’ho anche io. E che non ero in cattiva fede, ma la prima obliteratrice era rotta e poi, in effetti, treno in partenza, m’ero dimenticata di cercarne un’altra.
Il controllore mi fa notare che avrei dovuto avvisarlo. Ma io, abituata ad obliterare il biglietto al momento dell’acquisto, mi ero dimenticata che questa volta non avevo potuto farlo. Quindi, in totale buona fede, come avrei potuto avvisare il controllore?!
Comunque, deve avermi creduto, o aver avuto pietà, mi ha fatto una multa come se lo avessi avvisato, quindi 5 euro e tante raccomandazioni di obliterare sempre il biglietto. Grunf.
Mi dimentico abbastanza presto dell’accaduto, il mare ed il sole aiutano, al punto che decido di posticipare il ritorno, previsto per domenica sera, al mattino presto di lunedì. In previsione di una partenza alle 7 del mattino penso di comprare i biglietti la domenica. Mi reco nella stazione di Rapallo, dove la biglietteria è chiusa ‘per malattia’, così riporta un foglio appeso fuori. Allora mi dirigo verso l’unica macchinetta automatica presente ma, essendoci una coda interminabile, vado a godermi il mare e rimando alla sera l’acquisto del biglietto.
Alle 19 ripasso in stazione e da lontano vedo la macchinetta libera, esulto sino a che non arrivo lì davanti...schermo vuoto blu...macchinetta guasta. Una signora che doveva cambiare un biglietto decide di chiamare il numero verde...ma non riceve risposta, gli operatori ‘sono sempre occupati’. Io invece decido di svegliarmi un pò prima al mattino successivo.
Alle 630 arrivo in stazione. C’è fermento, è un piovoso lunedì mattina, primo giorno di scuola per molti studenti. Mi dirigo verso la biglietteria ma reca ancora appeso il cartello del giorno prima. Macchinetta automatica idem, stesso schermo blu. Decido di chiamare io il numero verde, ma anche alle sette del mattino ‘gli operatori sono sempre occupati’. Mi reco al vicino tabacchi, per chiedere un consiglio, che è stato di recarmi in un’altra stazione per comprare il biglietto. Ma avrei perso il treno. Allora compro un biglietto a fascia chilometrica sino a Genova, non oltre. Essendo tali biglietti solo regionali non potevo farlo sino a Torino dove ero diretta.
Infine, salgo sul binario, mi affaccio al tabellone degli orari e con piacere noto che il mio treno porta 20 minuti di ritardo. Così, ancora preoccupata per non essere in possesso del titolo di viaggio, decido di seguire il consiglio del giornalaio e recarmi alla stazione successiva per completare l’acquisto. A Santa Margherita Ligure la biglietteria è aperta, chiedo delucidazioni su cosa mi sarebbe accaduto se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio imparziale, e la gentile signora mi dice che quando una biglietteria è chiusa per malattia il capotreno è avvisato, quindi basta andare da lui e farglielo presente, ‘non si dovrebbero pagare multe’. Interessante condizionale.
Compro infine il biglietto da Genova a Torino. Notando tra l’altro che la somma del chilometrico e della tratta aggiuntiva è maggiore del costo del solito biglietto Torino/Rapallo. Ma sono pochi spiccioli...Ritorno sul binario e noto che il ritardo del mio treno non è più di venti minuti ma di trenta. Decido allora di andare a fare colazione. Torno e noto che il ritardo del mio treno è arrivato a 40 minuti. Insomma, senza tirarla troppo per le lunghe, il ritardo arriverà sino ai 50 minuti. Ed io che dovevo partire alle 7.14, salirò sul treno alle 8.04. Ma, a consolarmi - se di consolazione si può parlare - ci sono i binari ricoperti da miriadi di persone preoccupate, che telefonano sui posti di lavoro per avvisare che arriveranno in ritardo. Il mio treno insomma non è l’unico ritardatario, sono in buona compagnia! E poi c’è sempre la voce registrata di Trenitalia, femminile e rassicurante, che continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Nel frattempo mi domando se è stato il temporale ad aver creato tutto questo trambusto...e ancora deve arrivare l’autunno vero! Intanto il primo temporale della stagione fa ammalare il personale, chiudere le biglietterie, rompere le macchinette automatiche, tiene occupati gli operatori dei call center e produce ritardi record su quasi tutti i treni!
Ed io rimugino, sorridendo perchè la vita va presa con filosofia, ma anche con una sensazione di rodimento dentro che mi si trascina, non so bene perchè!
E la simpatica voce continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Anche io mi ero scusata col controllore per essermi dimenticata di obliterare. E probabilmente mi sarei scusata se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio incompleto. Perchè io sono fatta così, se non faccio il mio dovere, anche se non è colpa mia, mi scuso.
Anche Trenitalia, quando non fa il suo dovere si scusa. Menomale, è buona educazione.
Però c’è una differenza. Che io oltre a scusarmi, pago anche le conseguenze delle mie – anzi, in realtà anche di qualcun altro - mancanze, anche se le mancanze non sono premeditate. Spesso e comunque vengono considerate tali, non si dubita della malafede delle persone e quindi, le persone devono pagare.
Invece noi utenti, noi cittadini che usufruiamo di un disservizio, continuo – perchè ho raccontato un solo episodio ma sono sicura che potrei aggiungerne mille altri – non possiamo in alcun modo far pagare l’incapacità cronica di gestire un servizio che farebbe vergognare chiunque. Ma è anche questa forse la privatizzazione di Trenitalia, un decadimento ed uno sfacelo che ormai passa nel silenzio assenso di tutti i viaggiatori. Pur perchè, che senso avrebbe parlare?! Che senso lamentarsi?! Qui non cambia mai niente. O forse siamo noi persone che non facciamo cambiare le cose? Si potrebbe aprire un sin troppo lungo dibattito.
Concludo ripensando ad una signora che è salita sul treno ritardatario qualche fermata dopo la mia.
Vede acqua per terra (la giornata piovosa imperversava) e si meraviglia perchè il treno (che tra l’altro era lercio come sempre i regionali) era stato pulito, assoggettando a tale pulizia - un pò d’acqua sporca sul pavimento - il ritardo. Non sto scherzando, ma forse questo episodio mi ha riconsegnato alla convinzione, nonché rassegnazione, che finché la gente non si sveglia, non apre gli occhi, le cose no che non cambiano. Ma forse alle 8 di un piovoso lunedì mattina, 14 settembre, conclusione dell’estate...insomma, è ancora presto per aprire gli occhi!
mercoledì 4 novembre 2009
Università pubblica
Quanta amarezza.
Basta poco ormai.
E’ amaro avere voglia di studiare, di conoscere, e trovarsi davanti un muro insopportabile, perchè non dipende da te.
Quella dell’Università Italiana di oggi è ormai una selezione basata sul reddito.
Ecco la mia amarezza.
Mi piace studiare, non sono certo una studentessa modello, ma mi piace...poter fare solo quello è un lusso che ormai non posso più concedermi. Purtroppo me ne sono accorta troppo tardi.
Ciò che mi reca tanto sconforto è vedere quanto sia difficile sopravvivere, nella mia condizione di lavoratrice/ studentessa part-time, all’interno della casta universitaria fatta di docenti alienati chiusi nel loro sapere bigotto e di burocrazie lunghe, contorte, spesso inefficienti ma soprattutto costose, molto costose, troppo costose.
Faccio un esempio: sono in una delle fasce di reddito più basse, iscrizione part -time (paghi di meno, puoi sostenere meno esami), lavorando non sono frequentante.
Ebbene pago 1.200 euro all’anno per sostenere esami da non frequentante che prevedono quindi una mole non indifferente di lavoro in più. Sto parlando di una università statale e non privata.
Ambisco al conseguimento della laurea (specialistica) perchè mi piace e per concludere e mettere anche un punto alla fatica ed ai sacrifici che ho fatto per arrivare sino a qua. Sacrifici che non vengono mai riconosciuti, anzi.
Perchè quando non immoli la tua vita alla quotidianità universitaria (perchè non puoi permettertelo tra l’altro) sei uno studente di serie B. Io l’ho visto sulla mia pelle.
L’ho visto quando non ho preso una lode ‘perchè non ero frequentante’, parole dette a me in persona da un docente. Ma come, aver preparato un esame particolarmente difficile da sola, con quei risultati, non è degno di lode?!
L’ho visto quando ho sentito dire ad uno studente: “perchè lavora? perde tempo all’università...faccia un prestito per vivere in questi anni...” questo credo si commenti da solo.
L’ho visto nel momento in cui, costretta a iscrivermi part- time per pagare 200 euro in meno all’anno pago una cifra che mi si strozza la gola a nominarla.
L’Università dovrebbe essere un servizio pubblico, per i cittadini. Ma com’è possibile sostenere una spesa simile, alla quale andrebbero aggiunti i costi dei libri, delle dispense, del tempo, perchè anche quello ormai ha un suo costo?!
Ed è disarmante trovarsi davanti a dei docenti che si crogiolano nella loro posizione, nel loro sapere e che spesso sono quelli che scendono in piazza, o che si scandalizzano per i tagli al sapere ma sono i primi che tagliano il sapere, che lo decapitano totalmente nel momento in cui si chiudono nelle loro stanze, senza rendersi conto delle difficoltà che possono esserci dietro qualunque studente per arrivare sino a loro, giudicatori istruttori che si auto-elevano a detentori di una cultura, di una modalità di vita, senza tenere conto dell’umanità prima di tutto delle persone che hanno di fronte?
Il tutto, con le dovute eccezioni, perchè come sempre, ovunque ce ne sono. Piccole isole felici, di chi sapendo che lavori, o quanto paghi, sgrana gli occhi e mostra un lieve cenno di ammirazione, capace di riempirti per un attimo il cuore di gioia ed autostima.
Perchè la casta universitaria è anche capace di questo, di farti perdere autostima, perchè non dedichi la tua vita alla loro causa. Perchè sei fuori corso, perchè non frequenti oltretutto, perchè evidentemente non poni l’università al primo posto e non c’è motivazione che tenga, questo non va bene.
Che mi venga offerta la possibilità di farlo. Non solo con poche fasulle borse di studio (che uno studente part-time di laurea specialistica non può richiedere) dedicate a chi ha la fortuna di poter essere veramente parte integrante del sistema universitario.
Bisogna offrire la possibilità di studiare a tutti i cittadini. Questo è il principio fondante della cultura. Non è la scuola dell’obbligo sino ai 16 anni, o non lo è del tutto.
E’ la possibilità di frequentare una università che non costi 1200 euro all’anno per chi è nelle fasce più basse di reddito e con una iscrizione part-time che dovrebbe agevolare anche dal punto di vista economico!
Come se non bastasse a tutto questo si aggiunge un disservizio continuo del sistema d’ateneo, telematico e non. Continui errori, problemi, che fanno perdere giornate intere, perchè rimediare agli errori altrui e cercare spiegazioni è solo interesse dello studente.
E quando chiedo delucidazioni o faccio notare errori, avviene un vero e proprio scarica barile, nessuno sa niente e tutti rimandano a qualche imprecisato ufficio o a qualche imprecisato indirizzo mail (oggi non per ultimo un indirizzo mail segnalatomi da un ufficio universitario è risultato non essere più attivo!).
Non è questo ciò che ci si aspetta da un servizio profumatamente pagato. Non è questo che ci si dovrebbe aspettare neanche da un servizio rivolto al pubblico. Io mi aspetto che funzioni.
Ho buttato giù tante cose, velocemente. Tante cose che non vanno. Sono tante le colpe che concorrono, dalla più alta dello stato, alla più bassa dell’impiegato amministrativo a quella del singolo docente, di quel singolo docente che si lamenta della sua posizione eppure non riesce ad accorgersi che è il primo ad appartenere ad una casta che chiude le porte dell’università al popolo, con la differenziazione, con l’esclusione dovuta ad un terribile e pericoloso assunto: chi non frequenta non studia adeguatamente perchè non ha voglia (assunto che per quanto delle volte è verificabile non può essere generalizzato), quindi chi non frequenta non è degno di puntare al massimo.
Bisogna cambiare i punti di vista, scambiarli anche.
Se la cultura fosse un pò più accessibile a tutti, anche in forme diverse dalle tradizionali, probabilmente ci sarebbero molti meno problemi nel paese, nel mondo in cui viviamo. Ne abbiamo bisogno, eppure ci vengono chiuse le porte. Mentre la questione economica può essere più complessa, più corale anche da risolvere e di competenza certamente anche statale, si potrebbe iniziare però a cambiare la questione ‘morale’. Quella di chi la cultura la fa e la diffonde, di chi predica la libertà di espressione nonché la diffusione stessa della cultura tra il popolo e poi razzola in senso opposto: chiudendosi, facendo di quella stessa cultura una elite inaccessibile. Deve essere proprio bello chiudersi in una casta di presunti privilegi, economici, culturali....perchè è quello che più si sta affermando nel mondo di oggi. Una chiusura totale nelle proprie posizioni. Aprirsi, comunicare, scambiarsi opinioni, capire, aiutarsi, sono queste invece quelle che ai miei occhi appaiono le soluzioni vere. Quindi contradditemi pure, io non aspetto altro. Che a tutti vengano date le stesse possibilità.
Basta poco ormai.
E’ amaro avere voglia di studiare, di conoscere, e trovarsi davanti un muro insopportabile, perchè non dipende da te.
Quella dell’Università Italiana di oggi è ormai una selezione basata sul reddito.
Ecco la mia amarezza.
Mi piace studiare, non sono certo una studentessa modello, ma mi piace...poter fare solo quello è un lusso che ormai non posso più concedermi. Purtroppo me ne sono accorta troppo tardi.
Ciò che mi reca tanto sconforto è vedere quanto sia difficile sopravvivere, nella mia condizione di lavoratrice/ studentessa part-time, all’interno della casta universitaria fatta di docenti alienati chiusi nel loro sapere bigotto e di burocrazie lunghe, contorte, spesso inefficienti ma soprattutto costose, molto costose, troppo costose.
Faccio un esempio: sono in una delle fasce di reddito più basse, iscrizione part -time (paghi di meno, puoi sostenere meno esami), lavorando non sono frequentante.
Ebbene pago 1.200 euro all’anno per sostenere esami da non frequentante che prevedono quindi una mole non indifferente di lavoro in più. Sto parlando di una università statale e non privata.
Ambisco al conseguimento della laurea (specialistica) perchè mi piace e per concludere e mettere anche un punto alla fatica ed ai sacrifici che ho fatto per arrivare sino a qua. Sacrifici che non vengono mai riconosciuti, anzi.
Perchè quando non immoli la tua vita alla quotidianità universitaria (perchè non puoi permettertelo tra l’altro) sei uno studente di serie B. Io l’ho visto sulla mia pelle.
L’ho visto quando non ho preso una lode ‘perchè non ero frequentante’, parole dette a me in persona da un docente. Ma come, aver preparato un esame particolarmente difficile da sola, con quei risultati, non è degno di lode?!
L’ho visto quando ho sentito dire ad uno studente: “perchè lavora? perde tempo all’università...faccia un prestito per vivere in questi anni...” questo credo si commenti da solo.
L’ho visto nel momento in cui, costretta a iscrivermi part- time per pagare 200 euro in meno all’anno pago una cifra che mi si strozza la gola a nominarla.
L’Università dovrebbe essere un servizio pubblico, per i cittadini. Ma com’è possibile sostenere una spesa simile, alla quale andrebbero aggiunti i costi dei libri, delle dispense, del tempo, perchè anche quello ormai ha un suo costo?!
Ed è disarmante trovarsi davanti a dei docenti che si crogiolano nella loro posizione, nel loro sapere e che spesso sono quelli che scendono in piazza, o che si scandalizzano per i tagli al sapere ma sono i primi che tagliano il sapere, che lo decapitano totalmente nel momento in cui si chiudono nelle loro stanze, senza rendersi conto delle difficoltà che possono esserci dietro qualunque studente per arrivare sino a loro, giudicatori istruttori che si auto-elevano a detentori di una cultura, di una modalità di vita, senza tenere conto dell’umanità prima di tutto delle persone che hanno di fronte?
Il tutto, con le dovute eccezioni, perchè come sempre, ovunque ce ne sono. Piccole isole felici, di chi sapendo che lavori, o quanto paghi, sgrana gli occhi e mostra un lieve cenno di ammirazione, capace di riempirti per un attimo il cuore di gioia ed autostima.
Perchè la casta universitaria è anche capace di questo, di farti perdere autostima, perchè non dedichi la tua vita alla loro causa. Perchè sei fuori corso, perchè non frequenti oltretutto, perchè evidentemente non poni l’università al primo posto e non c’è motivazione che tenga, questo non va bene.
Che mi venga offerta la possibilità di farlo. Non solo con poche fasulle borse di studio (che uno studente part-time di laurea specialistica non può richiedere) dedicate a chi ha la fortuna di poter essere veramente parte integrante del sistema universitario.
Bisogna offrire la possibilità di studiare a tutti i cittadini. Questo è il principio fondante della cultura. Non è la scuola dell’obbligo sino ai 16 anni, o non lo è del tutto.
E’ la possibilità di frequentare una università che non costi 1200 euro all’anno per chi è nelle fasce più basse di reddito e con una iscrizione part-time che dovrebbe agevolare anche dal punto di vista economico!
Come se non bastasse a tutto questo si aggiunge un disservizio continuo del sistema d’ateneo, telematico e non. Continui errori, problemi, che fanno perdere giornate intere, perchè rimediare agli errori altrui e cercare spiegazioni è solo interesse dello studente.
E quando chiedo delucidazioni o faccio notare errori, avviene un vero e proprio scarica barile, nessuno sa niente e tutti rimandano a qualche imprecisato ufficio o a qualche imprecisato indirizzo mail (oggi non per ultimo un indirizzo mail segnalatomi da un ufficio universitario è risultato non essere più attivo!).
Non è questo ciò che ci si aspetta da un servizio profumatamente pagato. Non è questo che ci si dovrebbe aspettare neanche da un servizio rivolto al pubblico. Io mi aspetto che funzioni.
Ho buttato giù tante cose, velocemente. Tante cose che non vanno. Sono tante le colpe che concorrono, dalla più alta dello stato, alla più bassa dell’impiegato amministrativo a quella del singolo docente, di quel singolo docente che si lamenta della sua posizione eppure non riesce ad accorgersi che è il primo ad appartenere ad una casta che chiude le porte dell’università al popolo, con la differenziazione, con l’esclusione dovuta ad un terribile e pericoloso assunto: chi non frequenta non studia adeguatamente perchè non ha voglia (assunto che per quanto delle volte è verificabile non può essere generalizzato), quindi chi non frequenta non è degno di puntare al massimo.
Bisogna cambiare i punti di vista, scambiarli anche.
Se la cultura fosse un pò più accessibile a tutti, anche in forme diverse dalle tradizionali, probabilmente ci sarebbero molti meno problemi nel paese, nel mondo in cui viviamo. Ne abbiamo bisogno, eppure ci vengono chiuse le porte. Mentre la questione economica può essere più complessa, più corale anche da risolvere e di competenza certamente anche statale, si potrebbe iniziare però a cambiare la questione ‘morale’. Quella di chi la cultura la fa e la diffonde, di chi predica la libertà di espressione nonché la diffusione stessa della cultura tra il popolo e poi razzola in senso opposto: chiudendosi, facendo di quella stessa cultura una elite inaccessibile. Deve essere proprio bello chiudersi in una casta di presunti privilegi, economici, culturali....perchè è quello che più si sta affermando nel mondo di oggi. Una chiusura totale nelle proprie posizioni. Aprirsi, comunicare, scambiarsi opinioni, capire, aiutarsi, sono queste invece quelle che ai miei occhi appaiono le soluzioni vere. Quindi contradditemi pure, io non aspetto altro. Che a tutti vengano date le stesse possibilità.
giovedì 29 ottobre 2009
Lettere contro la guerra
Anni di sfrenato materialismo hanno ridotto e marginalizzato il ruolo della morale nella vita della gente, facendo di valori come il denaro, il successo e il tornaconto personale il solo metro di giudizio..senza tempo per fermarsi a riflettere, preso sempre più nell'ingranaggio di una vita altamente competitiva che lascia sempre meno spazio al privato, l'uomo del benessere e dei consumi ha come perso la sua capacità di commuoversi e di indignarsi. E' tutto concentrato su di sè, non ha occhi né cuore per quel che gli succede attornoT. Terzani
www.tizianoterzani.com
mercoledì 28 ottobre 2009
Lunedi 12 Ottobre 2009
Lunedì 12 Ottobre 2009
Sono confusa.
Viviamo in un paese, in un mondo che sembra stia cadendo a rotoli, ed io vorrei fare, dire qualcosa, anche se delle volte mi sembra che tutto abbia un suo corso in mezzo al quale nessuno può fare nulla. Per ora rifletto.
Già, perchè una riflessione mi sembra il minimo da cui partire. Non tanto per aprir bocca, ma piuttosto per aprirla dopo almeno aver riflettuto un pò, perchè a me sembra che viviamo in un paese, in un mondo, dove è troppo poca la gente che apre la bocca senza aver troppo riflettuto.
E di questo proprio oggi ho avuto un esempio clamoroso. Stamattina ero a Milano, mi dirigevo in stazione per prendere il treno ed il caso ha voluto che mi trovassi vicino alla caserma dove è esplosa la bomba. Ciò che mi ha lasciata, veramente senza parole, sono stati i commenti delle persone per strada ad i quali poi, si sono aggiunti, tornata a casa, commenti di perfetti sconosciuti che ho letto su un social network, Facebook. Riporto alcuni di questi ultimi, per altro del tutto simili a quelli che ho sentito uscire dalle bocche delle persone che erano con me sull’autobus.
Questo era il titolo del post: ATTENTATO A MILANO - Libico fa esplodere Bomba davanti ad una Caserma.
Questi alcuni commenti:
- Io neanche lo soccorrerei!!!
Torna da quel porco di Gheddafi!
- bastardo islamico del cazzo
- rimandiamoli a casa loro ‘sti bastardi senza rispetto.....
- che schifo...........ma la colpa è nostra che continuiamo a farli entrare in Italia!!!
- continuiamo a farli entrare...........poi quando salterà per aria il duomo vedremo......
- è solo un antipasto...dobbiamo ringraziare chi ha aperto le frontiere in maniera indiscriminata e se vogliamo risalire a cause remote troviamo sempre la sinistra che con le sue riforme sballate eliminò l'educazione al lavoro dall'ordinamento scolastico italiano...HANNO SAPUTO SEMINARE SOLO VENTO...! QUESTA E' LA VERITA' ...PER CHI NN HA GLI OCCHI FODERATI DI MORTADELLA...
- Non siamo noi che siamo xenofobi razzisti e quello che vi pare!!!
Sono loro che vengono qui a rompere i coglioni anche qui ora!!!
E non andate in giro a sparare cazzate con l'integrazione!
Perchè non ci sarà mai finché ci sono queste merde in giro per il mondo!
Che sono anche capaci di uccidere la propria figlia perchè frequenta un Cristiano!...
I ridicoli siete voi!!!
Fate pena bigotti e ipocriti!!!
Ma rendetevene almeno conto di come siete messi!!!
- tornatevene al vostro paese!!! avete rotto i coglioni islamici di merda!!!!!
-e già.... la colpa e' degli italiani... porcodio cosa mi tocca sentire!!!!!! se cominciassimo a sparare in testa o a tagliare colli come fanno loro vediamo se gli viene voglia di fare i pagliacci qui da noi.... e comunque,bravi disfattisti,insegnategli a mettercelo nel culo chiedendo "perfavore".....
- questi immigrati sono proprio degli sprovveduti...possibile che nessuno dei nostri internazionalisti sinistri gli abbia insegnato dove avrebbe avuto un maggiore impatto mediatico quella bomba? cosa stiamo aspettando che alzino il tiro per prendere coscienza di questo problema? ma siamo diventati allocchi fino a questo punto!? e poi come si fa a paragonare i nostri emigranti con questi che nn hanno né arte e né parte?ma vi siete bevuti completamente il cervello???
Inorridisco, di fronte a queste parole, nonostante potrei riportarne altrettante di critica alle stesse, non riesco a crederci. Ed invece è così.
Sino a ieri mi stupivo – a volte, solo a volte - di come gli italiani avessero potuto eleggere il presidente che ci ritroviamo. E del teatrino degli ultimi mesi, l’unica cosa che pensavo avesse un senso è che avrebbe risvegliato un pò le persone da un sonno. Ma così non è.
Viviamo in un teatro perenne, in cui tra l’altro tutti sono gli attori, a destra, a sinistra, al centro, i politici le prime donne, il popolo il resto. Perchè anche noi singoli cittadini sappiamo a memoria tutta la recita, la sappiamo mettere in scena e senza neanche aver studiato, aver capito, ci improvvisiamo attori. Tanto non è importante ciò che si dice. Forse non lo capiamo nemmeno. In Italia mi sembra che si sia perso completamente il senso della realtà ma tutti sanno interpretare quanto avviene. Ogni singolo cittadino italiano ha in mano la chiave del successo. Siamo tutti Berlusconi.
Ma in che paese stiamo vivendo? Che futuro ci stiamo creando?!
Stiamo costruendo ignoranza prima di tutto. Perchè gli unici input che riceviamo sono quelli della televisione, dei cartelloni pubblicitari, internet, qualche giornale....
Completamente abbagliati da uno stile di vita fondato sull’apparire, in cui l’obiettivo è il guadagno, il successo, i soldi. Non solo averli ma mostrarli.
Leggere un libro, informarsi, cercare di capire, essere aperti, aperti alla conoscenza, ai pareri degli altri, al dialogo. Di questo ci siamo dimenticati perchè ormai tutti sanno tutto.
La politica è diventata un tifo calcistico, si sceglie se tifare per l’una o per l’altra squadra e si tifa mettendo in campo qualsiasi carta. Ma nessuno sembra ricordarsi cosa è la politica, nomi come Aristotele, Socrate, ormai evocano solo un’antichità superata, a chi la evocano. Perchè nessuno sa più cosa è la cultura. Facciamo pure le riforme della scuola. Che rabbia, che tristezza.
C’è tanta retorica, ci sono troppe parole, ovunque ti giri, pronte sulla bocca di tutti ad accusare, a giudicare, a distruggere qualcuno. Ma tutti possiamo oggi essere distrutti perchè stiamo tutti collaborando ad un degrado morale, civile, senza precedenti.
Non sono tra quelli che si adeguano al corso degli eventi perchè tanto un singolo gesto non può fare nulla. E’ dal singolo gesto che si parte, dalla volontà del singolo, per propagazione, si cambiano anche altre volontà. Delle volte vorrei gridare, urlare, scendere per strada e strattonare la gente che cammina, come allucinata, dalla fretta, dagli impegni.
Camminare per strada mi fa vedere persone come pedine che si sono dimenticate di cosa è la vita, frustrate, poco serene, aggrappate ad una quotidianità instabile. L’essere umano quando sta male ha bisogno di sfogarsi ed ecco forse spiegato tanto odio, tanto malessere.
Stiamo male, neanche ce ne rendiamo conto ed il nostro male si sfoga nella tifoseria politica, od anche in quella calcistica che è diventata quasi una guerriglia urbana, il nostro male si sfoga nella guerra allo straniero, nell’odio verso il vicino che ha l’erba più verde, nel rancore verso chi ci sembra stia meglio, nello schifo verso ciò che non comprendiamo, nel tentativo di fregare tutti per tutelare i propri interessi, non importa con quali conseguenze o con quali mezzi. Siamo diventati gli animali sociali più individualisti della storia. E non ci accontentiamo più solo di esserlo, stiamo passando alle azioni. Almeno a me questo sembra.
Ed è per questo che vorrei scendere in strada ed urlare anche io, vorrei prendere per le spalle le persone e agire anche io, mi vengono le lacrime agli occhi e questo è il mio sfogo. Perchè così non si può vivere, non è l’odio che crea la vita, non è l’intolleranza, non è la mancanza di rispetto verso le cose e verso gli altri, non è l’amore per sé stessi. Dove ci porterà tutta questa finzione, dove?
E questa finzione è soprattutto frutto di ignoranza. Stiamo diventando bestie, facili da gestire, facili da izzare tutti gli uni contro gli altri, facili da dividere. Perchè siamo ignoranti, perchè non abbiamo più curiosità né rispetto, perchè stiamo male ma soprattutto perchè non ci stiamo rendendo conto che stiamo perdendo la nostra dignità ci stiamo auto-calpestando eppure siamo tutti convinti di essere migliori rispetto agli altri tutti che si sentono migliori.
Ognuno di noi ha la propria sacrosanta verità, ognuno di noi ha il diritto di averla e il dovere di difenderla. Ma per questo non si può rinunciare ad ascoltare. Chiudersi non è la soluzione, lottare neanche. Solo un mondo di apertura, di dialogo e di curiosità verso l’altro e il diverso, che sia un uomo, o un modo nuovo di intendere la vita, o una religione, solo un’apertura calma e pacifica può aiutarci a sopravvivere.
Chiusi nelle nostre fortezze di pregiudizi moriremo soli nella rabbia e nell’orgoglio, continuando a non capire.
Apertura non significa cambiare le proprie convinzioni, semplicemente convincersi che ce ne sono altre. Capirle poi è altro ancora. Ma fermarsi ad ascoltare è già un grande passo avanti.
Quello che oggi ho sentito io è stato il rumore di una piccola bomba, a cui ne sono seguite altre, silenziose ma altrettanto dolorose, frutto della stessa ignoranza, della stessa chiusura, dello stesso buio futuro.
Adele Mosiello
Sono confusa.
Viviamo in un paese, in un mondo che sembra stia cadendo a rotoli, ed io vorrei fare, dire qualcosa, anche se delle volte mi sembra che tutto abbia un suo corso in mezzo al quale nessuno può fare nulla. Per ora rifletto.
Già, perchè una riflessione mi sembra il minimo da cui partire. Non tanto per aprir bocca, ma piuttosto per aprirla dopo almeno aver riflettuto un pò, perchè a me sembra che viviamo in un paese, in un mondo, dove è troppo poca la gente che apre la bocca senza aver troppo riflettuto.
E di questo proprio oggi ho avuto un esempio clamoroso. Stamattina ero a Milano, mi dirigevo in stazione per prendere il treno ed il caso ha voluto che mi trovassi vicino alla caserma dove è esplosa la bomba. Ciò che mi ha lasciata, veramente senza parole, sono stati i commenti delle persone per strada ad i quali poi, si sono aggiunti, tornata a casa, commenti di perfetti sconosciuti che ho letto su un social network, Facebook. Riporto alcuni di questi ultimi, per altro del tutto simili a quelli che ho sentito uscire dalle bocche delle persone che erano con me sull’autobus.
Questo era il titolo del post: ATTENTATO A MILANO - Libico fa esplodere Bomba davanti ad una Caserma.
Questi alcuni commenti:
- Io neanche lo soccorrerei!!!
Torna da quel porco di Gheddafi!
- bastardo islamico del cazzo
- rimandiamoli a casa loro ‘sti bastardi senza rispetto.....
- che schifo...........ma la colpa è nostra che continuiamo a farli entrare in Italia!!!
- continuiamo a farli entrare...........poi quando salterà per aria il duomo vedremo......
- è solo un antipasto...dobbiamo ringraziare chi ha aperto le frontiere in maniera indiscriminata e se vogliamo risalire a cause remote troviamo sempre la sinistra che con le sue riforme sballate eliminò l'educazione al lavoro dall'ordinamento scolastico italiano...HANNO SAPUTO SEMINARE SOLO VENTO...! QUESTA E' LA VERITA' ...PER CHI NN HA GLI OCCHI FODERATI DI MORTADELLA...
- Non siamo noi che siamo xenofobi razzisti e quello che vi pare!!!
Sono loro che vengono qui a rompere i coglioni anche qui ora!!!
E non andate in giro a sparare cazzate con l'integrazione!
Perchè non ci sarà mai finché ci sono queste merde in giro per il mondo!
Che sono anche capaci di uccidere la propria figlia perchè frequenta un Cristiano!...
I ridicoli siete voi!!!
Fate pena bigotti e ipocriti!!!
Ma rendetevene almeno conto di come siete messi!!!
- tornatevene al vostro paese!!! avete rotto i coglioni islamici di merda!!!!!
-e già.... la colpa e' degli italiani... porcodio cosa mi tocca sentire!!!!!! se cominciassimo a sparare in testa o a tagliare colli come fanno loro vediamo se gli viene voglia di fare i pagliacci qui da noi.... e comunque,bravi disfattisti,insegnategli a mettercelo nel culo chiedendo "perfavore".....
- questi immigrati sono proprio degli sprovveduti...possibile che nessuno dei nostri internazionalisti sinistri gli abbia insegnato dove avrebbe avuto un maggiore impatto mediatico quella bomba? cosa stiamo aspettando che alzino il tiro per prendere coscienza di questo problema? ma siamo diventati allocchi fino a questo punto!? e poi come si fa a paragonare i nostri emigranti con questi che nn hanno né arte e né parte?ma vi siete bevuti completamente il cervello???
Inorridisco, di fronte a queste parole, nonostante potrei riportarne altrettante di critica alle stesse, non riesco a crederci. Ed invece è così.
Sino a ieri mi stupivo – a volte, solo a volte - di come gli italiani avessero potuto eleggere il presidente che ci ritroviamo. E del teatrino degli ultimi mesi, l’unica cosa che pensavo avesse un senso è che avrebbe risvegliato un pò le persone da un sonno. Ma così non è.
Viviamo in un teatro perenne, in cui tra l’altro tutti sono gli attori, a destra, a sinistra, al centro, i politici le prime donne, il popolo il resto. Perchè anche noi singoli cittadini sappiamo a memoria tutta la recita, la sappiamo mettere in scena e senza neanche aver studiato, aver capito, ci improvvisiamo attori. Tanto non è importante ciò che si dice. Forse non lo capiamo nemmeno. In Italia mi sembra che si sia perso completamente il senso della realtà ma tutti sanno interpretare quanto avviene. Ogni singolo cittadino italiano ha in mano la chiave del successo. Siamo tutti Berlusconi.
Ma in che paese stiamo vivendo? Che futuro ci stiamo creando?!
Stiamo costruendo ignoranza prima di tutto. Perchè gli unici input che riceviamo sono quelli della televisione, dei cartelloni pubblicitari, internet, qualche giornale....
Completamente abbagliati da uno stile di vita fondato sull’apparire, in cui l’obiettivo è il guadagno, il successo, i soldi. Non solo averli ma mostrarli.
Leggere un libro, informarsi, cercare di capire, essere aperti, aperti alla conoscenza, ai pareri degli altri, al dialogo. Di questo ci siamo dimenticati perchè ormai tutti sanno tutto.
La politica è diventata un tifo calcistico, si sceglie se tifare per l’una o per l’altra squadra e si tifa mettendo in campo qualsiasi carta. Ma nessuno sembra ricordarsi cosa è la politica, nomi come Aristotele, Socrate, ormai evocano solo un’antichità superata, a chi la evocano. Perchè nessuno sa più cosa è la cultura. Facciamo pure le riforme della scuola. Che rabbia, che tristezza.
C’è tanta retorica, ci sono troppe parole, ovunque ti giri, pronte sulla bocca di tutti ad accusare, a giudicare, a distruggere qualcuno. Ma tutti possiamo oggi essere distrutti perchè stiamo tutti collaborando ad un degrado morale, civile, senza precedenti.
Non sono tra quelli che si adeguano al corso degli eventi perchè tanto un singolo gesto non può fare nulla. E’ dal singolo gesto che si parte, dalla volontà del singolo, per propagazione, si cambiano anche altre volontà. Delle volte vorrei gridare, urlare, scendere per strada e strattonare la gente che cammina, come allucinata, dalla fretta, dagli impegni.
Camminare per strada mi fa vedere persone come pedine che si sono dimenticate di cosa è la vita, frustrate, poco serene, aggrappate ad una quotidianità instabile. L’essere umano quando sta male ha bisogno di sfogarsi ed ecco forse spiegato tanto odio, tanto malessere.
Stiamo male, neanche ce ne rendiamo conto ed il nostro male si sfoga nella tifoseria politica, od anche in quella calcistica che è diventata quasi una guerriglia urbana, il nostro male si sfoga nella guerra allo straniero, nell’odio verso il vicino che ha l’erba più verde, nel rancore verso chi ci sembra stia meglio, nello schifo verso ciò che non comprendiamo, nel tentativo di fregare tutti per tutelare i propri interessi, non importa con quali conseguenze o con quali mezzi. Siamo diventati gli animali sociali più individualisti della storia. E non ci accontentiamo più solo di esserlo, stiamo passando alle azioni. Almeno a me questo sembra.
Ed è per questo che vorrei scendere in strada ed urlare anche io, vorrei prendere per le spalle le persone e agire anche io, mi vengono le lacrime agli occhi e questo è il mio sfogo. Perchè così non si può vivere, non è l’odio che crea la vita, non è l’intolleranza, non è la mancanza di rispetto verso le cose e verso gli altri, non è l’amore per sé stessi. Dove ci porterà tutta questa finzione, dove?
E questa finzione è soprattutto frutto di ignoranza. Stiamo diventando bestie, facili da gestire, facili da izzare tutti gli uni contro gli altri, facili da dividere. Perchè siamo ignoranti, perchè non abbiamo più curiosità né rispetto, perchè stiamo male ma soprattutto perchè non ci stiamo rendendo conto che stiamo perdendo la nostra dignità ci stiamo auto-calpestando eppure siamo tutti convinti di essere migliori rispetto agli altri tutti che si sentono migliori.
Ognuno di noi ha la propria sacrosanta verità, ognuno di noi ha il diritto di averla e il dovere di difenderla. Ma per questo non si può rinunciare ad ascoltare. Chiudersi non è la soluzione, lottare neanche. Solo un mondo di apertura, di dialogo e di curiosità verso l’altro e il diverso, che sia un uomo, o un modo nuovo di intendere la vita, o una religione, solo un’apertura calma e pacifica può aiutarci a sopravvivere.
Chiusi nelle nostre fortezze di pregiudizi moriremo soli nella rabbia e nell’orgoglio, continuando a non capire.
Apertura non significa cambiare le proprie convinzioni, semplicemente convincersi che ce ne sono altre. Capirle poi è altro ancora. Ma fermarsi ad ascoltare è già un grande passo avanti.
Quello che oggi ho sentito io è stato il rumore di una piccola bomba, a cui ne sono seguite altre, silenziose ma altrettanto dolorose, frutto della stessa ignoranza, della stessa chiusura, dello stesso buio futuro.
Adele Mosiello
parole.0
Parole.
Ne cerco il senso, anzi, cerco di dare un senso e subito mi perdo tra simboli presenti solo nella realtà dell’anima mia. Mi domando cosa sia giusto fare come sia giusto scrivere e quanto sia bello e necessario lasciarsi trasportare dai sensi e dal sentimento, nonché dal suono. In quante parti bisogna dividersi per riuscire ad esprimere, e come poi bisogna ricomporre l’unità. Mi domando. Quanto sia necessario inseguire delle regole, imporsele, e quanto poter essere liberi di violarle, coscientemente, ed essere capaci di andare oltre con classe ed eleganza. Mi domando. Chi può giudicare la bellezza, se esiste la bellezza o se sia solo sentimento e perchè dovrei preoccuparmi allora della bellezza, della forma, dello stile, se alla fine ciò che conta è creare reazioni. Ma quali sono le reazioni giuste, quelle che fanno ricordare, quelle che fanno sbalordire, quelle che fanno sentire e basta, quelle che fanno pensare, quelle che non sembrano reazioni, quelle che potrebbero essere ma non sono. E le relazioni poi, mi domando.
Sono la prima a cadere nell’oscurità delle parole, come un infame sortilegio che non riesco a domare, sono io ad essere domata da esso. Non riesco a fare a meno del nascondermi dietro figure impressionistiche che apparentemente eliminando il senso, donano proprio lo stesso senso alle parole che altrimenti non so che forma potrebbero assumere. Che contorsione e che emozione il pensiero di poter incastrare così tante lettere in un prestabilito ordine imprevedibile. Ma sarò io capace di farlo?! Ed in che modo?! La scrittura di coscienza è forse fin troppo semplice, è quella scrittura che altro non deve fare se non seguire il ritmo del cuore ed alla quale si può perdonare incostanza e peregrinazione. Ma poi la comprensione altrui quanto deve essere importante, come deve essere agevolata od ostacolata. E’ eccitante il pensiero di poter dominare l’ordine delle parole, allo stesso tempo spaventa il paradosso, l’incontrollabilità del controllo, in cui mente, cuore e corpo si fondono per dar vita. E’ vita quella che prende forma e dunque perchè alla fine porsi così tante domande e non lasciarsi solo trasportare dal ritmo del cuore che batte, perchè non ignorare il giudizio....ma allora per chi scrivo, per cosa, per quale ragione o meglio, per quale emozione.
Scrivo per me perchè libero le pulsazioni del cuore in una forma che nulla ha di deciso nel momento in cui tutto fluttua senza alcun controllo. E’ troppo bello.
Scrivo per esprimere fluttuazioni invisibili alle quali il cervello spreme una forma assolutamente improbabile, non può che uscirne un rebus continuo, non può che volare oltre la comprensione. Ma dovrei poi forse evitare ridondanze, scorrettezze, errori volutamente cercati per me o per altri?! A chi devo render conto e fare favori?
E’ il desiderio di far leggere ad altri che ancora non so quanto m’appartenga e quanto sia giusto trasformare in obbligo una forma che per ora scorre seguendo unicamente il flusso delle vene. E’ forse un adagio, ancora un lusso potersi perdere nell’incantesimo delle parole senza scadenza, senza forma, senza tentativi. Ho ancora la possibilità di lasciarmi rapire da un incosciente flusso di coscienza, senza alcun legame. E’ ancora tutto così facile. Perchè privarmene?
Una musica dolce.
E la mano che si lascia trascinare dai battiti del cuore.
E la sensazione che non sto in questo mondo a quest’ora ma che possa volare ed andare dove mi pare.
Basta un soffio di vento, il vento delle parole che può trascinarmi ovunque. Abbiamo una magia segreta noi esseri umani, ed ancora che cerchiamo il segreto del successo. Possono e riescono ad incastrarci nei modi peggiori eppure conserveremo sempre le parole. Possiamo allora scappare, andare in qualsiasi paese, in qualsiasi mondo, in qualsiasi epoca, possiamo essere chiunque ed ovunque allo stesso momento ed in tempi differenziati. Abbiamo la fantasia, con i sogni possiamo metterla in moto, con le parole esprimerla. Vivo e sopravvivo ma le parole non mancano mai di fornir legna al fuoco che arde nel mio petto.
Ne cerco il senso, anzi, cerco di dare un senso e subito mi perdo tra simboli presenti solo nella realtà dell’anima mia. Mi domando cosa sia giusto fare come sia giusto scrivere e quanto sia bello e necessario lasciarsi trasportare dai sensi e dal sentimento, nonché dal suono. In quante parti bisogna dividersi per riuscire ad esprimere, e come poi bisogna ricomporre l’unità. Mi domando. Quanto sia necessario inseguire delle regole, imporsele, e quanto poter essere liberi di violarle, coscientemente, ed essere capaci di andare oltre con classe ed eleganza. Mi domando. Chi può giudicare la bellezza, se esiste la bellezza o se sia solo sentimento e perchè dovrei preoccuparmi allora della bellezza, della forma, dello stile, se alla fine ciò che conta è creare reazioni. Ma quali sono le reazioni giuste, quelle che fanno ricordare, quelle che fanno sbalordire, quelle che fanno sentire e basta, quelle che fanno pensare, quelle che non sembrano reazioni, quelle che potrebbero essere ma non sono. E le relazioni poi, mi domando.
Sono la prima a cadere nell’oscurità delle parole, come un infame sortilegio che non riesco a domare, sono io ad essere domata da esso. Non riesco a fare a meno del nascondermi dietro figure impressionistiche che apparentemente eliminando il senso, donano proprio lo stesso senso alle parole che altrimenti non so che forma potrebbero assumere. Che contorsione e che emozione il pensiero di poter incastrare così tante lettere in un prestabilito ordine imprevedibile. Ma sarò io capace di farlo?! Ed in che modo?! La scrittura di coscienza è forse fin troppo semplice, è quella scrittura che altro non deve fare se non seguire il ritmo del cuore ed alla quale si può perdonare incostanza e peregrinazione. Ma poi la comprensione altrui quanto deve essere importante, come deve essere agevolata od ostacolata. E’ eccitante il pensiero di poter dominare l’ordine delle parole, allo stesso tempo spaventa il paradosso, l’incontrollabilità del controllo, in cui mente, cuore e corpo si fondono per dar vita. E’ vita quella che prende forma e dunque perchè alla fine porsi così tante domande e non lasciarsi solo trasportare dal ritmo del cuore che batte, perchè non ignorare il giudizio....ma allora per chi scrivo, per cosa, per quale ragione o meglio, per quale emozione.
Scrivo per me perchè libero le pulsazioni del cuore in una forma che nulla ha di deciso nel momento in cui tutto fluttua senza alcun controllo. E’ troppo bello.
Scrivo per esprimere fluttuazioni invisibili alle quali il cervello spreme una forma assolutamente improbabile, non può che uscirne un rebus continuo, non può che volare oltre la comprensione. Ma dovrei poi forse evitare ridondanze, scorrettezze, errori volutamente cercati per me o per altri?! A chi devo render conto e fare favori?
E’ il desiderio di far leggere ad altri che ancora non so quanto m’appartenga e quanto sia giusto trasformare in obbligo una forma che per ora scorre seguendo unicamente il flusso delle vene. E’ forse un adagio, ancora un lusso potersi perdere nell’incantesimo delle parole senza scadenza, senza forma, senza tentativi. Ho ancora la possibilità di lasciarmi rapire da un incosciente flusso di coscienza, senza alcun legame. E’ ancora tutto così facile. Perchè privarmene?
Una musica dolce.
E la mano che si lascia trascinare dai battiti del cuore.
E la sensazione che non sto in questo mondo a quest’ora ma che possa volare ed andare dove mi pare.
Basta un soffio di vento, il vento delle parole che può trascinarmi ovunque. Abbiamo una magia segreta noi esseri umani, ed ancora che cerchiamo il segreto del successo. Possono e riescono ad incastrarci nei modi peggiori eppure conserveremo sempre le parole. Possiamo allora scappare, andare in qualsiasi paese, in qualsiasi mondo, in qualsiasi epoca, possiamo essere chiunque ed ovunque allo stesso momento ed in tempi differenziati. Abbiamo la fantasia, con i sogni possiamo metterla in moto, con le parole esprimerla. Vivo e sopravvivo ma le parole non mancano mai di fornir legna al fuoco che arde nel mio petto.
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