Visto che oggi, parlando di muro mi è venuta in mente la Palestina...aggiungo delle parole, vecchie di qualche anno...risalgono ad un incontro che ho avuto ormai un pò di tempo fa con dei ragazzi Palestinesi di Gaza in visita a Roma...un pensiero in particolare va ad uno di loro, Hazem, un grande artista che mi ha insegnato qualche segreto 'da applicare ai miei disegni'...
"Ho ascoltato un ragazzo. Mi ha parlato della sua vita.
E’ uno studente universitario, ogni mattina si sveglia, si prepara ed esce, ma prima saluta la madre, l’abbraccia; ogni mattina potrebbe essere l’ultima, potrebbe non tornar più. Sulla strada deve fare diverse soste, potrebbe arrivar tardi a lezione, potrebbe non arrivarci proprio, ma lui ci prova. Davanti ad un muro si ferma, si lascia perquisire, umiliare per l’ennesima volta, procede. Ci sono dei giorni in cui riesce ad arrivare sino all’università, altri no..in sei mesi lui è riuscito ad andare all’università per ben quindici volte circa..ed ogni volta non sa se potrà tornare a casa, non sa se potrà camminare sulla stessa strada, non sa se dovrà rispettare un coprifuoco né per quanto tempo, non sa se lo faranno passare ai posti di blocco o se dovrà rimanere a dormire per strada, dove capita, se capita di poter dormire. Tutte queste cose non le sa perché non è lui a deciderle.
Ho ascoltato un altro ragazzo.Camminava per strada con la sua ragazza ma sono stati fermati. Hanno aspettato ore, non sapevano perché, non lo sa nessuno. Davanti ai suoi occhi hanno cominciato ad infastidire la ragazza, pesantemente, a toccarla. Lui non poteva fare nulla. Lui guardava la canna del fucile. Il pensiero della morte, non si sa come, dominava la sua doppia umiliazione, la sua sofferenza.
Ho ascoltato un ragazzo, non avrà avuto più di vent'anni. Frequenta il liceo. Un giorno all’uscita da scuola, con alcuni amici ha lanciato dei sassi contro ciò che più li umiliava. In risposta ha ricevuto pallottole. E’ stato colpito al bacino, ha subito dodici ore di sala operatoria, tre mesi in rianimazione, sei mesi di fisioterapia. Ha perso l’anno scolastico, è tornato a scuola e si è reso conto di aver perso anche un amico, un sasso gli era costato la vita.
Ho ascoltato tante altre parole, tante altre voci: quelle di chi vive per decisione di altri, di chi vive nell’umiliazione quotidiana, di chi deve chiedere un permesso anche per essere curato o per comprare da mangiare, di chi ogni volta che esce di casa deve salutare tutti perché non sa se tornerà più. Ho ascoltato le parole di chi non chiede pietà ma solo dignità, libertà di sopravvivere.
Dimenticavo, ho ascoltato le parole di alcuni giovanissimi ragazzi palestinesi."
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