Gli ultimi giorni a Corumbà sono stati particolarmente intensi.
Comincio a parlare di una velocissima gita in Bolivia che dista da
Corumbà circa 20 minuti d’auto. Abbiamo affittato un autista/guida per portarci a
vedere qualche posto un po’ più “mirato” senza perder troppo tempo, visto che
avevamo a disposizione solo una mattinata.
Appena si entra in Bolivia il paesaggio cambia, si nota immediatamente
una maggiore povertà. Le strade non sono asfaltate, case fatiscenti, spazzatura
tanta e in vista per le strade, ho persino visto un maiale che ci mangiava
dentro, tanti bambini in giro, tante persone un po’ abbandonate a sé stesse
sedute a guardare la strada. Ovviamente il mio è stato uno sguardo dal
finestrino di un auto, veloce, quello che scrivo è giusto una impressione.
Sempre in viaggio passiamo davanti ad una fatiscente stazione
ferroviaria, da cui, ci dice la nostra guida, parte il così detto treno della
morte, continuamente assaltato da briganti, sarà vero?
Mi sento un po’ vittima di un banale teatrino per turisti ed il nostro
giro “mirato” me ne dà la conferma.
Il primo posto dove l’autista ha ben pensato di portarci è un centro
commerciale per turisti di frontiera, in cui si trovano prodotti di marca a prezzi,
pare, convenienti. Il secondo posto è un mercatino per turisti di frontiera in
cui si trovano prodotti di marca contraffatti, mercatino che l’autista stesso ha
definito “dell’artigianato”: qualche rara bancarella di artigianato boliviano
tra il delirio di prodotti cinesi e di marchi contraffatti in effetti c’era.
Forse non ci si può aspettare troppo di più da poche ore in una piccola e molto
povera cittadina di frontiera che fa del turista di passaggio (tanti pescatori)
il centro della sua sussistenza.
Ultima tappa della nostra visita, un
bar/ristorantino che cucina la carne di alligatore, vietata in Brasile e per
questo attrazione in Bolivia dove invece è consentito cacciare i coccodrilli.
Oltre al fatto che non avevo fame vista la temperatura più che afosa, non me la
sono sentita di ordinarla, ma l’ho comunque assaggiata. Sembra pollo (tra
l’altro era fritto) ma se guardi bene la consistenza è ben diversa, un po’ più
simile a baccalà.
Della Bolivia, ahimè, questo è praticamente tutto.
Lavorativamente parlando gli ultimi giorni sono stati più intensi anche
a causa di continue piogge che hanno reso il lavoro decisamente più
impegnativo.
L’ultimissimo giorno è iniziato alle cinque del mattino e in
furgone siamo andati in una Fazenda (fattoria) per girare la puntata
della trasmissione a cui sto lavorando. Il paesaggio era decisamente
meritevole, un monte con la cima di terra rossa – mi han detto essere miniere
di ferro - sulla sfondo, ai lati foresta, un allevamento di bovini con
allevatore a cavallo ed una pista immensa in erba su cui possono atterrare
quegli aeroplanini piccoli piccoli, tipo due o quattro posti. È su questa pista
che abbiamo lavorato.
Con le piogge dei giorni prima la pista era
allagata e non è stato facile lavorare, inoltre c’erano miriadi di formiche - che a
differenza delle nostre pungono - il caldo e il sole a picco che hanno reso tutto particolarmente faticoso, ma meritevole. Poi, come un
Brasiliano mi ha fatto notare, acqua nei piedi, formiche, insetti, sole e
caldo...è tutto “biologico”….come dargli torto.
Alle 15 del pomeriggio dopo 9 ore particolarmente intense si rientra in
albergo, tempo di una doccia e si riparte in furgone per Campo Grande, la
famosa strada dove mi sono incrociata con la nuvola di zanzare. Questa volta
nessuna sosta per vedere i coccodrilli. Ancora un tramonto mozzafiato e poi la
notte, in un cielo particolarmente buio si vedono miriadi di stelle e dei fulmini
che in lontananza illuminano il buio.
Una notte a Campo Grande, al risveglio pronti per andare in aeroporto,
fuori dall’albergo un capivara passeggia per strada, prima di vederlo non
sapevo neanche come fosse fatte un capivara.
Sotto un fiume d’acqua arriviamo
in aeroporto veramente last minute, ed anche questo forse devo imparare dai
Brasiliani, a prendere le cose più con calma, io che sono sempre in super
anticipo e aspetto, aspetto pur di non fare ritardo. Per la prima volta nella
mia vita non ho aspettato neanche 5 minuti tra check-in e imbarco.
In Brasile ci sono questi aereo-bus, nel senso che ci sono aerei che
fanno diverse fermate in diverse città, cosa possibile vista
l’immensità di questo paese. Quindi saliamo su un aereo che passando per altre
due città ci lascia a Porto Velho, al confine con l’amazzonia. Di Porto Velho
vediamo ben poco, l’albergo e un pub ristorante dove mangiamo la sera.
Risveglio, si richiude ancora una volta la valigia e di nuovo in aeroporto.
Di nuovo aereo/bus. Questa volta dopo una fermata giungiamo a destinazione, un
mancato atterraggio crea un po’ di ansia, ma al secondo tentativo tutto fila liscio,
atterriamo a Cruzeiro do Sul, regione dell’Acre, tra l’Amazzonia e il Perù.
Il percorso dall’aeroporto all’albergo come sempre è il primo sguardo,
la prima impressione su un mondo che, questa volta, nel mio immaginario, lascia
pensare all’est, come secondo me potrebbe essere un paesino sperduto nel
Vietnam o nella Cambogia.
Si vede la foresta, sembra una giungla, campi allagati con palme
spuntare fuori. Nei 30 minuti che ci separano dall’albergo piove due volte ed
altrettante esce il sole. Case molto povere ma anche molto colorate, due
cavalli magrissimi mangiano nel cortile di una baracchetta. Entriamo in un
centro abitato, povero, abbastanza fatiscente un mix tra est asiatico ed est
europeo, una favela in alcuni tratti, difficile da dire. Tutti i Brasiliani sino ad ora mi han parlato non benissimo di questo posto, per gli animali e gli insetti (è qui che è ancora diffusa la febbre gialla), per le persone, perché è un posto un pò dimenticato, in effetti la prima impressione è un pò questa, di un luogo un pò dimenticato. Ma vedremo nei prossimi giorni.
Dal retro dell’albergo scorgo un fiume gigante, marrone, mi perdo un
momentino a fissarlo, poi, abbastanza stanca vado in camera. Ho bisogno di un po’
di letto, dopo 3 giorni di viaggio e poco sonno.
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