sabato 27 aprile 2013

Da Rio de Janeiro a Brasilia

Qualche giorno di vacanza a Rio de Janeiro tra un lavoro e l’altro. Tante lavatrici, un po’ di riposo e tante passeggiate, più o meno turistiche.
Prima notte trascorsa a casa di amici su un’isola lagunare, un po’ favela – intendendo come favela una zona costruita senza un piano edilizio – con scimmie e animali di cui non sapevo l'esistenza e di cui non ricordo il nome, tipo incrocio tra un topo e una puzzola, per fortuna ne ho visto solo uno. Un’isola senza automobili, non sembra in effetti di essere a Rio, per arrivarci bisogna prendere una barchetta, bello, sia di notte che al mattino con un sole splendente che fa risplendere il verde della fitta vegetazione e delle montagne granitiche che cadono a picco sul mare e sulla laguna.

Dopo la prima notte ho avuto la fortuna di avere una casa – ed un amico che mi ha ospitato - a Leblon (quartiere “bene” di Rio, vicino a Ipanema). Di conseguenza ho avuto la possibilità di uscire di casa e, semplicemente, passeggiare, lungo la spiaggia, vicino il lago, da Ipanema a Copacabana, senza troppe preoccupazioni di orari, luoghi, pericoli, mezzi di trasporto e taxi. Quindi questo è quello che ho fatto nei miei primi 5 giorni da turista a Rio de Janeiro, camminare, tanto. 

Oltre alle passeggiate però una tappa d’obbligo è stata il Cristo Redentore, un po’ come andare a vedere il Colosseo a Roma - quanto di più turistico possa esserci a Rio - ma la vista sulla città non ha eguali, ne vale veramente la pena. 

Per salire ci sono diverse opzioni, io ho scelto un trenino rosso che si inerpica sul Morro del Corcovado, nel mezzo della foresta tropicale, il parco nazionale di Tijuca, il più grande parco urbano del mondo, patrimonio Unesco. Di tutti gli animali, soprattutto scimmie, che si potrebbero ammirare dal trenino io ho scorto solo un tucano, ino, ino. Di solito il trenino è il mezzo più “caratteristico” e più trafficato per salire in cima, ma una giornata apparentemente un po’ nuvola e la stagione non proprio turistica a Rio de Janeiro mi han permesso di fare solo una mezz’ora di coda. 

Due parole sul parco. Leggo che una volta (non ricordo le date di preciso ma più o meno prima del 1861), tutte le aree montuose intorno alla città erano state trasformate in coltivazioni di caffè che avevano praticamente distrutto la vegetazione originaria. Il parco è stato creato e ampliato per ridare vita alla flora e alla fauna tipica del luogo, ora è vietata in tutta l’area la coltivazione caffè.
La città ovviamente offre molto di più - è enorme – del Cristo Redentore e di Leblon, Ipanema, Copacabana con relative spiagge, ma come primo approccio non è stato male. Spero al rientro di avere tempo per esplorare il resto.
Al termine dei cinque giorni, richiusa la valigia, si parte per Brasilia, nuova città, nuovo lavoro che mi terrà in Brasile – visti permettendo, continuo ad avere incertezze – sino ai primi di luglio.
Di Brasilia mi han parlato tante persone in questo primo mese brasiliano, come della città degli uffici, un nucleo di grattacieli e stradoni che nei week-end si svuota ed una periferia di povertà.
È stata costruita tra il 1956 ed il 1960 con un piano urbanistico basato sulle teorie di Le Corbusier, per creare una capitale meglio integrata (rispetto alla precedente Rio de Janeiro) con tutto il territorio brasiliano. Oltre alle perferie povere, un altro aspetto che mi è stato descritto come difetto della città – ed in effetti lo si nota abbastanza subito -  è il fatto che non sia stata costruita per i pedoni ma solo per le automobili, che, nonostante la rete di trasporti pubblici, rimangono il mezzo principale per muoversi in città. Immaginatevi il traffico. Quindi, pochi attraversamenti pedonali (aggiunti di recente), pochi semafori, molti cavalcavia e tunnel non percorribili a piedi.
Sono qua da pochi giorni, ho cominciato subito a lavorare e non ho ancora visto molto se non lo stadio in costruzione e gli uffici in cui lavoro, ma devo dire che traffico e difficoltà a trovare un posto al pedone nei grandi viali, l’ho subito notata. Ma sono sicura che anche Brasilia saprà sorprendermi e offrire qualcosa di inaspettato.
La temperatura è decisamente più autunnale (parlo di autunno brasiliano sempre). Molti mi avevano avvisato che a Brasilia faceva freddo “come l’inverno europeo”. Sorrido, per fortuna prima di comprare una giacca ho imparato a ridimensionare le divertenti esagerazioni dei brasiliani, ma in effetti al momento la massima si aggira sui 25 gradi quando c’è il sole ma la sera si scende addirittura a 15, 16 gradi. Temperatura ideale per lavorare.
Di solito, quando lavoro all’estero per lungo periodo, soggiorno in un appartamento che si trasforma nella mia casa per uno o più mesi. Questa volta è strano perché per tutto il periodo di quasi due mesi sarò in una stanza d’albergo, che ha i suoi aspetti positivi, come quello di non dover rifare il letto, ma anche i negativi che al momento sono in maggioranza: spazio ristretto, mancanza di una lavatrice, mancanza di una cucina… Sembrerà sciocco ma sono dettagli che creano un maggiore senso di appartenenza e di casa in un luogo straniero. Ed allora, bisogna inventarsi qualcosa. Il primo passo è disfare la valigia, anzi, il valigione, e ficcare in qualche maniera tutti i vestiti nel ristrettissimo armadio della stanza. Il secondo è eliminare dalla vista le valigie e tutte le trousses, disporre saponi, creme, deodoranti e profumi nel bagno come se fosse quello di casa. Il terzo è il libro ed il taccuino di appunti sul comodino. Infine c’è una cosa che mi fa sentire a casa anche quando non ci sono: i profumi. Non devono essere necessariamente gli stessi della mia casa, ma mi piace sentire un profumo che, soprattutto in questo caso, non sia quello di un’asettica camera d’albergo. Quindi nella lista delle cose da fare c’è una spesa per comprare innanzi tutto una candela profumata – fa molto casa. Di solito un’altra cosa che compro è il detersivo e l’ammorbidente. Sempre gli stessi. Sentire sempre lo stesso odore sui vestiti anche se sei in posti diversi del mondo è bello. E maniacale, lo so. Ma la mia mania è smorzata dal fatto che non in tutto il mondo si trovan le stesse marche. Ed infine, questa volta, dovrò trovare un sistema diverso, perché, soggiornando in albergo, non sarò io a lavare i miei vestiti. Credo che dovrò accontentarmi di una candela profumata o di un deodorante per ambienti, o magari riciclare il vecchio consiglio della nonna ed infilare una saponetta profumata nel ristretto armadio in cui ho ammassato i vestiti. Non è l’argomento più interessante del mondo, ma al momento, da Brasilia, è tutto.




venerdì 19 aprile 2013

Avrei preferito sbaglarmi


Ho votato Movimento 5 Stelle con un groppone in gola e mille indecisioni - che sinceramente ho ancora - perché la mia alternativa sarebbe stata il non voto, non essendoci nella rosa di candidati alcuno che mi rappresentasse in toto, neanche appunto lo stesso Movimento 5 stelle. Le ragioni per cui l’ho fatto le ho dette, e nei giorni successivi alle elezioni ho ben vacillato. Nonostante questo continuavo a non capire la campagna di demonizzazione mediatica attuata nei confronti degli eletti 5 stelle. Ho continuato a cercare un dialogo – non uno scontro, non una chiusura totale - con persone a me vicine che avevano votato PD o Sel, per capire, per analizzare, per cercare di cambiare la mia idea anche e le mie motivazioni su un voto che, ripeto, non ho dato con leggerezza e convinzione. Ho avuto tanti dubbi, ho sentito parlare persone che effettivamente avevo votato io ma non ne stavano prendendo una, ma ho anche sentito discorsi che mi han resa contenta del voto che avevo dato. Dubbi comunque ne son rimasti e ne rimangono ancora e sono aperta ancora ad un dialogo, che credo sia il modo migliore di capire e capirsi senza quella che ritengo l’ignoranza di attacchi spregiudicati e a senso unico, senza dubbi, senza messe in discussioni. E ripensando all’accanimento con cui tanti amici, giornalisti, scrittori, persone in genere, hanno attaccato il Movimento cinque stelle, senza fermarsi a dialogare, senza guardare ad altro (ad esempio all’ennesimo inciucio Pd/PdL), in questo momento mi fa un po’ rabbia. Perché se per chi è di sinistra è tanto importante essere di sinistra – e guai a dire che non c’è differenza alcuna, in questo moemnto storico, tra destra e sinistra – come si può essere così chiusi, così sordi, così ciechi, ad una esigenza tanto evidente della popolazione italiana: quella del cambiamento. Io non credo che Grillo sia una soluzione e non credo che tutti i suoi candidati siano persone valide e non credo tante altre cose su questo movimento che ho votato con mille titubanze. Ma sono sempre rimasta aperta ad un dialogo, ad un tentativo di comprensione che invece tanti a sinistra non hanno voluto accettare. La sinistra del PD, non tutta ma tanta parte di essa – e parlo di persone che conosco anche, non solo per astrazione – ha impiegato gli ultimi mesi in una battaglia contro il Movimento 5 Stelle senza aprirsi a dubbi, a esami di coscienza o ad analisi dei problemi interni. Sinceramente l’ho trovato allora come ora, decisamente ottuso ed arrogante come atteggiamento.
Ad oggi nonostante tutto, avrei preferito che fossi stata io a sbagliarmi. Pensavo che il PD facesse schifo, come ha fatto per gli ultimi 20 anni, eppure rimango stupita io stessa del mio sbigottimento di fronte ai fatti degli ultimi giorni, nonostante abbiamo vent’anni alle spalle di inciuci con il PDL ben peggiori.
Non mi va e non mi piacerebbe scrivere – e spero che nessuno lo faccia – ve lo avevamo detto, Grillo aveva ragione, sono tutti uguali. Ma quante persone lo stanno pensando, ora? E’ questo il problema. Stiamo consegnando l’Italia a Berlusconi – e allo scempio - per il ventesimo anno di fila. Ma allo stesso modo ormai si può dire, stiamo consegnando l’Italia al PD – e allo scempio – per il ventesimo anno di fila.
Se per questo mi mettessi ad attaccare senza sosta e senza dialogo farei la stessa cosa che tante, troppe persone hanno fatto negli ultimi mesi, senza analizzare il cancro che avevano nella loro sinistra intoccabile, quella a cui non si può dire che sono tutti uguali. Ma la stessa sinistra che, ancora una volta, sta di nuovo regalando il paese – e la libertà – a Berlusconi e a tutte quelle sanguisughe della politica italiana degli ultimi 20 anni.
Non penso che continuare ad accanirsi gli uni contro gli altri sia risolutivo di niente ma penso che un primo passo possa essere quello – di tutti – di abbassare le creste, di fare un passo indietro dal “so tutto io ed io solo ho ragione”, dal mettersi in gioco e dal dialogare partendo dal presupposto che mi ha spinto a votare 5 stelle: la classe politica degli ultimi 20 anni ha distrutto il paese, e Berlusconi non è lui solo il problema perché non è mai stato da solo (basta leggere, basta informarsi e guardare alla storia per rendersene conto) ma ha sempre avuto l’appoggio di una pessima sinistra.
Lo avevo già scritto ma lo ripeto, per me il termine sinistra, la storia della sinistra, sono valori in cui credo e che distinguo nettamente da quelli della destra. Ma se questi valori sono stati presi e messi sotto i piedi da una classe dirigente ignobile – e non solo quella di ora perché era già successo prima – allora anche io dico che sono tutti uguali, che bisogna ascoltare la disperazione della gente che non ce la fa più di inciuci e che bisogna radere al suolo per poter costruire qualcosa di buono. Il Movimento 5 stelle può essere un buon punto di partenza per radere al suolo? Fa paura anche a me, ma a questo punto di chi altro vogliamo fidarci? Abbiamo alternative? Ho letto, ascoltato, riflettuto su tutte le miriadi di attacchi che sono arrivati ai 5 Stelle, alcuni sensati altri meno. Ma arrivata a questo punto, sinceramente, io continuo a pensare quello che avevo pensato al momento del voto, per l’ennesima volta: cambiamo le persone, con tutti i non validi inclusi, ma almeno cambiamo. Decostruire per poi cercare di ricostruire. E per costruire una vera nuova cultura di sinistra , secondo me, non serve accanimento, presunzione, chiusura. Questa non è la sinistra – e lo dico pensando a chi di sinistra attacca ma anche a chi del Movimento 5 Stelle si chiude – la sinistra per me è cultura ma senza presunzione, senza snobbismo e con apertura mentale, è sapersi mettersi in discussione e sapersi mettere da parte per guardare, apertura all’altro e al diverso,  è essere modesti, cercare il giusto e l’equo tra tutti, analizzare e riflettere anche su cose che non sembrano appartenerci. La sinistra è apertura mentale, è ascolto, è analisi e riflessione. Tutto l’opposto di quello che la politica italiana ha offerto negli ultimi 20 anni. Tutto l’opposto di quello che l’Italia tutta ha offerto negli  ultimi 20 anni. E se le vere rivoluzioni partono dal basso, anche quella di restaurare, di riformare una nuova classe dirigente parte dal basso. Perché siamo noi, nelle nostre piccole vite che facciamo la differenza e che educhiamo i nostri figli, i nostri amici, i nostri conoscenti, i nostri familiari, i nostri vicini, ad una vera cultura di sinistra. Solo noi possiamo cominciare a ricostruire il giusto, dalle macerie ormai siamo circondati. Mettiamoci a lavoro.

martedì 16 aprile 2013

Cruzeiro do Sul - Acre


Cruzeiro di Sul è un comune di ben 100.000 abitanti (anche se a prima vista non si direbbe) situato a ovest dello stato dell’Acre, stato che confina da una parte col Perù - a cui però non è collegato da alcuna strada – dall’altra con la regione dell’Amazzonia con la quale condivide molti aspetti naturalistici. Per i Brasiliani, l’Acre è una regione abbastanza sconosciuta, se qualcuno ne parla è difficile riuscire a confermarne l’esistenza o a definire esattamente dove si trovi: l’Acre esiste ma nessuno c’è mai stato. Così mi racconta un ragazzo di Rio, entusiasta all’idea di poter finalmente dire che lui è stato in questa remota regione del Brasile.
Il clima è decisamente equatoriale ed in questo periodo dell’anno - qui è autunno - particolarmente umido e piovoso. Tutti i giorni di questa settimana ha piovuto senza che mai si sia abbassata la temperatura di 30, 35 gradi (e con l’umidità credo che quella percepita fosse decisamente maggiore). Non è stato semplice. Si suda da fermi e si sentono le goccioline che scendono per tutto il corpo, persino davanti agli occhi. L’arrivo della sera o un raro soffio di vento son quanto di più rinfrescante ci possa essere dopo l’aria condizionata, il cui uso spesso viene abusato. Forse è l’unico modo che i brasiliani hanno per indossare un golfino.
Il primo impatto con questa cittadina non è stato semplice. Architettonicamente non è molto bella, un ammasso di case e cose a cui non riesco a dare molto senso se non quello dell’abbandono. Non è facile ambientarsi, non è facile trovare un posto in cui mangiare bene, non è una cittadina che ti fa venire voglia di esplorare e fare una passeggiata.
L’idea di un posto un po’ dimenticato ma soprattutto povero è sollecitata persino dal supermercato. Credo che la presenza di prodotti di multinazionali sugli scaffali dei supermercati – ad eccezione della coca-cola, unico prodotto presente in qualsiasi posto io sia mai stata - sia indice della ricchezza, intesa come capacità di acquisto di un paese.  In questo caso devo dire che di prodotti di “marche conosciute” ne ho trovati ben pochi, soprattutto rispetto ad altri posti in cui sono stata e in cui avrei immaginato una povertà maggiore (per fare un esempio, al supermercato di Ashgabat, Turkmenistan gli scaffali strabordavano di prodotti di ogni tipo, persino più ricercati come qualità particolari di pasta italiana). Insomma dove ci sono certi prodotti è perché si vendono. Ed in un grande supermercato a Cruzeiro do Sul di prodotti noti a noi occidentali ce n’erano ben pochi (che forse è anche una fortuna per loro ma questo è un altro discorso). Una postilla: tutte le mie parole van prese con cautela, è difficile giudicare un posto in così pochi giorni, magari quello in cui andavo io era un discount del luogo e a pochi passi di distanza c’era altro…ma dubito.
A questo primo impatto un po’ disorientante si è aggiunta ad un certo punto la parola “traffico d’organi”. Pare che sia un grande problema del luogo, dove capita che scompaiano persone. Rimango a bocca aperta, penso di non aver capito bene, ed invece pare sia proprio così. Inizio a interrogarmi su come sia possibile. Penso un po’ alla richiesta occidentale di salute, di organi sani, che si comprano a qualunque prezzo sul mercato nero, mercato nero che pesca in un posto decisamente povero dove probabilmente se scompare una persona la notizia si ferma ad un notiziario locale.
Quale luogo migliore di un posto abbastanza isolato e un po’ dimenticato – persino dagli stessi brasiliani pare - per una tratta tanto obbrobriosa e disumana. Come è crudele e ingiusto questo nostro mondo umano.
Ci sono voluti alcuni giorni per capire e vedere veramente cosa c’è in questa città e nei suoi dintorni.
Una mattina un collega brasiliano che è stato qua qualche giorno in più di noi ed ha avuto modo di girare ci ha portati a fare un giro dicendo che qua non c’è molto da vedere, la vera bellezza è nella natura, nei paesaggi, nel cielo. Bisogna quindi esplorare queste cose ed allontanarsi (basta poco) dalla vista della città per scoprire quelle che ora posso definire le meraviglie di Cruzeiro do Sul e dell’Acre.
Dopo pochi passi lungo una strada semi-sterrata siamo arrivati sulla riva del fiume color marrone che si vede dall’albergo. Lungo il fiume scorgo un’intensa attività di mercato ma la prima cosa che facciamo è contrattare un giro in piroga, barca tipica del luogo. 

Salire in 5 su una piccola piroga a motore è un’esperienza particolare, soprattutto per l’instabilità iniziale, per la vicinanza con un’acqua che non è affatto limpida, anzi decisamente marrone e l’idea di finirci dentro non è proprio esaltante. Si parte. In un canalino di uscita dal porticciolo delle piroghe incrociamo altre piroghe in entrata il cui motore passandoci di fianco ci schizza di acqua addosso. Superato il primo impatto con l’acqua, il primo impaccio con la stabilità della piroga e un carico di benzina in uno dei distributori più “tipici” che io abbia mai visto, ci ritroviamo al centro del Rio Juruà sopra un minuscolo pezzo unico di legno che ci fa galleggiare in 5 nell'immenso fiume marrone, mi sembra una magia ed al tempo stesso una gran fortuna.

Ogni tanto fa persino paura sentirsi in balia di una corrente molto forte su questa barchetta con un motorino che si sta sforzando al massimo per noi cinque. L’acqua scorre ben vicina, basta, anzi, basterebbe allungare una mano per toccarla.
Penso che questa sia una delle esperienze più belle che si possono fare in questo posto. Cominciamo a vedere le rive di Cruzeiro do Sul dal Rio Juruà, affluente del Rio delle Amazzoni.
Tantissime palafitte, alcune veramente fatiscenti, altre un po’ meno, tanta povertà sicuramente ma anche tanti colori. Incrociamo persone, case, pescherecci, pescatori….è difficile da descrivere, in quel momento mi sono effettivamente lasciata andare – via le paure ma via anche i pensieri, troppi - ed ho ammirato un paesaggio così lontano dalla frenesia delle nostre città e delle nostre vite, così diverso e al tempo stesso così semplice, naturale. 

Per un po’ mi sono sentita una piccola grande esploratrice, proprio come in quei racconti che leggi quando sei bimbo e ti fanno sviluppare la fantasia di costruire capanne sugli alberi o in quei libri che leggi da adulto e ti fan sognare una vita diversa in un posto diverso. Eccomi qua.
Aveva ragione il mio amico brasiliano, qua non c’è altro da fare e da vedere se non la natura stessa ed un modo totalmente diverso dal nostro di viverla.
Conclusa la gita in piroga facciamo una passeggiata per i colori, gli odori ed i sapori dei mercati che scorrono lungo il fiume: pesci mai visti dai baffi lunghissimi, frutta e verdura esotica e colorata, odori forti, mercanti al lavoro, una sorridente signora che con un setaccio affina la farina di manioca, mini-cucine e un solo tavolone diventano improvvisati ristoranti per la gente del mercato.

Siamo molto osservati, non è comune vedere turisti da queste parti, ma veniamo guardati in un modo semplice, di pura curiosità che non mi mette in soggezione.
Splendido, finalmente ho visto quello che doveva esser visto di questo posto. Pensavo fosse tutto e mi sbagliavo. Quanto può ingannare un primo sguardo.
Nei giorni successivi per lavoro sono stata in un altro posto meraviglioso: la foresta che si incrocia con il fiume, alberi e palme che crescono nell’acqua creano un ‘ambiente naturale incredibile.

Ho lavorato anche con una piccola comunità di Indios, sempre sorridenti e disponibili. Tra i vari modi di sostentarsi fanno delle fantastiche corone di piume di pappagallo che avrei adorato comprare. Non l'ho fatto perché sono molto ingombranti e non avrei saputo come portarle, per fortuna direi, perché loro le vendono ma è proibito dalla legge federale esportarle fuori dallo stato, quindi in aeroporto vengono sequestrate, pare che sulle piume crescano dei parassiti.
Finito di lavorare mancano ancora due giorni alla partenza. Nonostante la stanchezza riusciamo ad approfittarne per farci portare ancora in giro. Siamo stati nella più grande fazenda (fattoria) del luogo. Chilometri e chilometri di proprietà, con tori, bufale, agnelli e ancora civette, tucani e coloratissimi pappagalli. 

Proprietà attraversata da un fiume con alberi di papaya e fiori colorati mai visti prima d’ora, il tutto contornato da questo cielo brasiliano che ogni giorno, ogni ora, muta e regala paesaggi incredibili, una meraviglia da rimanere a bocca aperta. Il proprietario di casa ci regala una gustosissima grigliata, la carne viene da una di quelle bufale incrociate sul percorso sterrato che ci ha condotto sino alla casa.
La natura è stata una grande scoperta, ma anche l’ospitalità ed i sorrisi delle persone continuano ad esserlo ogni giorno. Nonostante le difficoltà della lingua e la mia incapacità ad esprimermi, delle volte, di fronte a facce interrogative – che non capiscono quello che tu domandi o vuoi dire – basta veramente un semplice sorriso per rompere qualsiasi barriera. È così facile e funziona, sempre.
Per concludere la settimana in Acre, domenica abbiamo fatto una gita sul fiume, ospiti di una famiglia che durante la settimana vive nella città e tutti i fine settimana li passa su un barcone di ferro galleggiante al centro del fiume. Per salire sul barcone ci vengono a prendere con un motoscafo che prima di approdare ci fa fare un giro sul fiume, inaspettato, divertente e un po’ bagnato.

Sul barcone diverse famiglie passano la domenica tra grigliata, bagno nel fiume, pesca e vista sulla foresta. Il paradiso dei bambini che si arrampicano, si tuffano in acqua, fanno sci nautico facendosi trascinare su una tavola dalla moto d’acqua, senza paure, senza freni e senza inibizioni. Nonostante la pioggia tutto continua all’aria aperta, è come se la pioggia non ci fosse, d’altronde il caldo rimane sempre lo stesso e la pioggia rinfresca un po’ la pelle sudata.
Guardo con invidia quei bimbi scatenati. Vorrei lanciarmi ma confesso di essere stata un po’ intimorita, non me la sentivo di fare il bagno in un fiume marrone, pieno di foglie e rami secchi, pesci dai lunghi baffi, alligatori (che non si vedono ma ci sono….). Per rompere il ghiaccio comincio a fare un giro in moto d’acqua lungo il fiume nel mezzo della foresta, un’altra esperienza indimenticabile che mi avvicina in qualche modo con la natura del luogo. Il guidatore della moto mi chiede se voglio fare “sci nautico” sulla tavolozza, ma non me la sento.
Rientro sul barcone e la paura è tanta ma non resisto, quando mi ricapita di fare il bagno in un fiume nella foresta amazzonica…tutti che mi rassicurano sulla corrente che è abbastanza forte, ma vai a spiegare che non ho paura della corrente o di nuotare, io ho paura della flora e della fauna che c’è nel fiume, quanto sono maledettamente cittadina. Rompo finalmente i miei stupidi schemi mentali, un po’ col cuore in gola mi tuffo. L’acqua ha una temperatura ideale e una corrente che porta via in un attimo, qualche bracciata per avvicinarmi alla piattaforma ed esco fuori, felice e soddisfatta per avercela fatta. Di lì a cinque minuti sono di nuovo in acqua, nuotando verso un’altra piattaforma. Tuffi, apnea, un fiume misterioso, son bastati pochi minuti per ambientarmi, anche in un’acqua marrone, con “cose” che ogni tanto ti toccano, ma ci ho riso sopra perché alla fine stavo nuotando in un posto che probabilmente non rivedrò mai più. Non potevo non farlo.


Rientro in albergo sotto una pioggia battente su un pullmino di brasiliani ubriachi che cantano e urlano dalle risate. Non capisco quasi niente di quello che dicono eppure faccio fatica a contenere le risate. Ora sono qui, in attesa di lasciare questo posto, direzione Rio de Janeiro per una settimana d vacanza prima di cominciare un nuovo lavoro. Il viaggiò sarà lungo, da Cruzeiro do Sul a Rio Branco, capitale dell’Acre, poi domani da Rio Branco a Brasilia e in serata, finalmente, da Brasilia a Rio de Janeiro.

martedì 9 aprile 2013

Da Corumbà a Cruzeiro do Sul


Gli ultimi giorni a Corumbà sono stati particolarmente intensi.
Comincio a parlare di una velocissima gita in Bolivia che dista da Corumbà circa 20 minuti d’auto. Abbiamo affittato un autista/guida per portarci a vedere qualche posto un po’ più “mirato” senza perder troppo tempo, visto che avevamo a disposizione solo una mattinata.
Appena si entra in Bolivia il paesaggio cambia, si nota immediatamente una maggiore povertà. Le strade non sono asfaltate, case fatiscenti, spazzatura tanta e in vista per le strade, ho persino visto un maiale che ci mangiava dentro, tanti bambini in giro, tante persone un po’ abbandonate a sé stesse sedute a guardare la strada. Ovviamente il mio è stato uno sguardo dal finestrino di un auto, veloce, quello che scrivo è giusto una impressione.

Sempre in viaggio passiamo davanti ad una fatiscente stazione ferroviaria, da cui, ci dice la nostra guida, parte il così detto treno della morte, continuamente assaltato da briganti, sarà vero?
Mi sento un po’ vittima di un banale teatrino per turisti ed il nostro giro “mirato” me ne dà la conferma.
Il primo posto dove l’autista ha ben pensato di portarci è un centro commerciale per turisti di frontiera, in cui si trovano prodotti di marca a prezzi, pare, convenienti. Il secondo posto è un mercatino per turisti di frontiera in cui si trovano prodotti di marca contraffatti, mercatino che l’autista stesso ha definito “dell’artigianato”: qualche rara bancarella di artigianato boliviano tra il delirio di prodotti cinesi e di marchi contraffatti in effetti c’era.
Forse non ci si può aspettare troppo di più da poche ore in una piccola e molto povera cittadina di frontiera che fa del turista di passaggio (tanti pescatori) il centro della sua sussistenza. 
Ultima tappa della nostra visita, un bar/ristorantino che cucina la carne di alligatore, vietata in Brasile e per questo attrazione in Bolivia dove invece è consentito cacciare i coccodrilli. Oltre al fatto che non avevo fame vista la temperatura più che afosa, non me la sono sentita di ordinarla, ma l’ho comunque assaggiata. Sembra pollo (tra l’altro era fritto) ma se guardi bene la consistenza è ben diversa, un po’ più simile a baccalà.
Della Bolivia, ahimè, questo è praticamente tutto. 
Lavorativamente parlando gli ultimi giorni sono stati più intensi anche a causa di continue piogge che hanno reso il lavoro decisamente più impegnativo. 
L’ultimissimo giorno è iniziato alle cinque del mattino e in furgone siamo andati in una Fazenda (fattoria) per girare la puntata della trasmissione a cui sto lavorando. Il paesaggio era decisamente meritevole, un monte con la cima di terra rossa – mi han detto essere miniere di ferro - sulla sfondo, ai lati foresta, un allevamento di bovini con allevatore a cavallo ed una pista immensa in erba su cui possono atterrare quegli aeroplanini piccoli piccoli, tipo due o quattro posti. È su questa pista che abbiamo lavorato. 
Con le piogge dei giorni prima la pista era allagata e non è stato facile lavorare, inoltre c’erano miriadi di formiche - che a differenza delle nostre pungono - il caldo e il sole a picco che hanno reso tutto particolarmente faticoso, ma meritevole. Poi, come un Brasiliano mi ha fatto notare, acqua nei piedi, formiche, insetti, sole e caldo...è tutto “biologico”….come dargli torto.
Alle 15 del pomeriggio dopo 9 ore particolarmente intense si rientra in albergo, tempo di una doccia e si riparte in furgone per Campo Grande, la famosa strada dove mi sono incrociata con la nuvola di zanzare. Questa volta nessuna sosta per vedere i coccodrilli. Ancora un tramonto mozzafiato e poi la notte, in un cielo particolarmente buio si vedono miriadi di stelle e dei fulmini che in lontananza illuminano il buio.
Una notte a Campo Grande, al risveglio pronti per andare in aeroporto, fuori dall’albergo un capivara passeggia per strada, prima di vederlo non sapevo neanche come fosse fatte un capivara. 
Sotto un fiume d’acqua arriviamo in aeroporto veramente last minute, ed anche questo forse devo imparare dai Brasiliani, a prendere le cose più con calma, io che sono sempre in super anticipo e aspetto, aspetto pur di non fare ritardo. Per la prima volta nella mia vita non ho aspettato neanche 5 minuti tra check-in e imbarco.
In Brasile ci sono questi aereo-bus, nel senso che ci sono aerei che fanno diverse fermate in diverse città, cosa possibile vista l’immensità di questo paese. Quindi saliamo su un aereo che passando per altre due città ci lascia a Porto Velho, al confine con l’amazzonia. Di Porto Velho vediamo ben poco, l’albergo e un pub ristorante dove mangiamo la sera.
Risveglio, si richiude ancora una volta la valigia e di nuovo in aeroporto. Di nuovo aereo/bus. Questa volta dopo una fermata giungiamo a destinazione, un mancato atterraggio crea un po’ di ansia, ma al secondo tentativo tutto fila liscio, atterriamo a Cruzeiro do Sul, regione dell’Acre, tra l’Amazzonia e il Perù.
Il percorso dall’aeroporto all’albergo come sempre è il primo sguardo, la prima impressione su un mondo che, questa volta, nel mio immaginario, lascia pensare all’est, come secondo me potrebbe essere un paesino sperduto nel Vietnam o nella Cambogia. 
Si vede la foresta, sembra una giungla, campi allagati con palme spuntare fuori. Nei 30 minuti che ci separano dall’albergo piove due volte ed altrettante esce il sole. Case molto povere ma anche molto colorate, due cavalli magrissimi mangiano nel cortile di una baracchetta. Entriamo in un centro abitato, povero, abbastanza fatiscente un mix tra est asiatico ed est europeo, una favela in alcuni tratti, difficile da dire. Tutti i Brasiliani sino ad ora mi han parlato non benissimo di questo posto, per gli animali e gli insetti (è qui che è ancora diffusa la febbre gialla), per le persone, perché è un posto un pò dimenticato, in effetti la prima impressione è un pò questa, di un luogo un pò dimenticato. Ma vedremo nei prossimi giorni.

Dal retro dell’albergo scorgo un fiume gigante, marrone, mi perdo un momentino a fissarlo, poi, abbastanza stanca vado in camera. Ho bisogno di un po’ di letto, dopo 3 giorni di viaggio e poco sonno.