Un amico leggendo il mio blog m’ha detto che era triste. E mi ha chiesto se stessi bene.
Mi dispiace che sia questo il messaggio immediato, che almeno per qualcuno, trapela da queste prime parole...
Sicuramente viviamo in un periodo storico triste, di conseguenza se ci si guarda attorno, non c’è molto da stare allegri...anzi, si potrebbe essere decisamente pessimisti.
Ma io non è così che affronto le cose. Le mie parole spesso sono d’amarezza, di sconforto, di nostalgia per qualcosa che sento mancare al mondo che mi circonda, non il mio solo, quello di tutti.
In questo un pò triste lo sono. Ma credo anche che non si possa sentire nostalgia per qualcosa che non sai cosa sia.
Mi spiego. Ho nostalgia di serenità, di uguaglianza, di diritti, di libertà, di fiducia, di cultura, di unione, di poesia, di forza, di rispetto.
Sono questi valori che credo essere fondamentali nella società in cui viviamo, eppure ne sento la mancanza. Ecco da cosa deriva la mia nostalgia, la mia tristezza. Credo che senza questi valori la nostra storia sicuramente sarà più buia, meno felice.
Ma io questi valori al tempo stesso li porto nel petto. Altrimenti non mi mancherebbero.
Per questo dentro di me non mi sento triste...Ogni tanto può capitare, come a tutti, ma non sto parlando della quotidianità, delle volte un pò difficile, che chi più chi meno ci troviamo ad affrontare.
Fondamentalmente, nonostante tutto, io sono una persona molto ottimista. Ho fiducia negli altri, e nell’essere umano, almeno ci provo. Soprattutto ho fiducia che le cose possano essere diverse. Credo nei sorrisi, nella capacità delle persone di aiutarsi, di cambiare e di rinnovarsi e nonostante davanti agli occhi mi passino continuamente parole e fatti veramente negativi, sono fortemente convinta che si possa star meglio.
Le parole volano via in fretta e seguendo le persone, possono cambiare, adattarsi a vecchi tempi, al presente ed a tempi nuovi che spero saranno decisamente migliori. Se così non fosse, con tutta l’amarezza del caso, ad oggi io posso comunque ritenermi serena, aggrappata ai miei se pur banali valori. Non è facile affrontare la realtà, basta poco ad indignarsi, ed è questo poco che le mie parole spesso esprimono, ma mi considero fortunata, perchè a me sinceramente, basta anche poco per meravigliarmi. E sognare.
giovedì 12 novembre 2009
mercoledì 11 novembre 2009
Riflessione fuori contesto
..tratta da un libro di Biblioteconomia, ma è così vera, universale e applicabile ad altro...
"Ogni volta che una trasformazione metterà in discussione le nostre certezze, avremo fatto un passo avanti verso l'individuazione dei contenuti reali...."
G.Solimine
"Ogni volta che una trasformazione metterà in discussione le nostre certezze, avremo fatto un passo avanti verso l'individuazione dei contenuti reali...."
G.Solimine
Una poesia...
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
G.UNGARETTI
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
G.UNGARETTI
martedì 10 novembre 2009
Ragazzi palestinesi
Visto che oggi, parlando di muro mi è venuta in mente la Palestina...aggiungo delle parole, vecchie di qualche anno...risalgono ad un incontro che ho avuto ormai un pò di tempo fa con dei ragazzi Palestinesi di Gaza in visita a Roma...un pensiero in particolare va ad uno di loro, Hazem, un grande artista che mi ha insegnato qualche segreto 'da applicare ai miei disegni'...
"Ho ascoltato un ragazzo. Mi ha parlato della sua vita.
E’ uno studente universitario, ogni mattina si sveglia, si prepara ed esce, ma prima saluta la madre, l’abbraccia; ogni mattina potrebbe essere l’ultima, potrebbe non tornar più. Sulla strada deve fare diverse soste, potrebbe arrivar tardi a lezione, potrebbe non arrivarci proprio, ma lui ci prova. Davanti ad un muro si ferma, si lascia perquisire, umiliare per l’ennesima volta, procede. Ci sono dei giorni in cui riesce ad arrivare sino all’università, altri no..in sei mesi lui è riuscito ad andare all’università per ben quindici volte circa..ed ogni volta non sa se potrà tornare a casa, non sa se potrà camminare sulla stessa strada, non sa se dovrà rispettare un coprifuoco né per quanto tempo, non sa se lo faranno passare ai posti di blocco o se dovrà rimanere a dormire per strada, dove capita, se capita di poter dormire. Tutte queste cose non le sa perché non è lui a deciderle.
Ho ascoltato un altro ragazzo.Camminava per strada con la sua ragazza ma sono stati fermati. Hanno aspettato ore, non sapevano perché, non lo sa nessuno. Davanti ai suoi occhi hanno cominciato ad infastidire la ragazza, pesantemente, a toccarla. Lui non poteva fare nulla. Lui guardava la canna del fucile. Il pensiero della morte, non si sa come, dominava la sua doppia umiliazione, la sua sofferenza.
Ho ascoltato un ragazzo, non avrà avuto più di vent'anni. Frequenta il liceo. Un giorno all’uscita da scuola, con alcuni amici ha lanciato dei sassi contro ciò che più li umiliava. In risposta ha ricevuto pallottole. E’ stato colpito al bacino, ha subito dodici ore di sala operatoria, tre mesi in rianimazione, sei mesi di fisioterapia. Ha perso l’anno scolastico, è tornato a scuola e si è reso conto di aver perso anche un amico, un sasso gli era costato la vita.
Ho ascoltato tante altre parole, tante altre voci: quelle di chi vive per decisione di altri, di chi vive nell’umiliazione quotidiana, di chi deve chiedere un permesso anche per essere curato o per comprare da mangiare, di chi ogni volta che esce di casa deve salutare tutti perché non sa se tornerà più. Ho ascoltato le parole di chi non chiede pietà ma solo dignità, libertà di sopravvivere.
Dimenticavo, ho ascoltato le parole di alcuni giovanissimi ragazzi palestinesi."
"Ho ascoltato un ragazzo. Mi ha parlato della sua vita.
E’ uno studente universitario, ogni mattina si sveglia, si prepara ed esce, ma prima saluta la madre, l’abbraccia; ogni mattina potrebbe essere l’ultima, potrebbe non tornar più. Sulla strada deve fare diverse soste, potrebbe arrivar tardi a lezione, potrebbe non arrivarci proprio, ma lui ci prova. Davanti ad un muro si ferma, si lascia perquisire, umiliare per l’ennesima volta, procede. Ci sono dei giorni in cui riesce ad arrivare sino all’università, altri no..in sei mesi lui è riuscito ad andare all’università per ben quindici volte circa..ed ogni volta non sa se potrà tornare a casa, non sa se potrà camminare sulla stessa strada, non sa se dovrà rispettare un coprifuoco né per quanto tempo, non sa se lo faranno passare ai posti di blocco o se dovrà rimanere a dormire per strada, dove capita, se capita di poter dormire. Tutte queste cose non le sa perché non è lui a deciderle.
Ho ascoltato un altro ragazzo.Camminava per strada con la sua ragazza ma sono stati fermati. Hanno aspettato ore, non sapevano perché, non lo sa nessuno. Davanti ai suoi occhi hanno cominciato ad infastidire la ragazza, pesantemente, a toccarla. Lui non poteva fare nulla. Lui guardava la canna del fucile. Il pensiero della morte, non si sa come, dominava la sua doppia umiliazione, la sua sofferenza.
Ho ascoltato un ragazzo, non avrà avuto più di vent'anni. Frequenta il liceo. Un giorno all’uscita da scuola, con alcuni amici ha lanciato dei sassi contro ciò che più li umiliava. In risposta ha ricevuto pallottole. E’ stato colpito al bacino, ha subito dodici ore di sala operatoria, tre mesi in rianimazione, sei mesi di fisioterapia. Ha perso l’anno scolastico, è tornato a scuola e si è reso conto di aver perso anche un amico, un sasso gli era costato la vita.
Ho ascoltato tante altre parole, tante altre voci: quelle di chi vive per decisione di altri, di chi vive nell’umiliazione quotidiana, di chi deve chiedere un permesso anche per essere curato o per comprare da mangiare, di chi ogni volta che esce di casa deve salutare tutti perché non sa se tornerà più. Ho ascoltato le parole di chi non chiede pietà ma solo dignità, libertà di sopravvivere.
Dimenticavo, ho ascoltato le parole di alcuni giovanissimi ragazzi palestinesi."
La caduta di un muro?
Giusto due parole,in occasione dell’anniversario dell’abbattimento del muro di Berlino, notizia che imperversa ovunque, sui giornali, sui telegiornali e su internet. Un inno corale alla democrazia, alla libertà, al cambio storico ed epocale che quella caduta ha portato.
Siamo tutti felici, no?!
Ma quale democrazia, quale felicità, quale conquista mi domando soprattutto.
I capi di stato riuniti a Berlino in una auto-celebrazione che mai m’è sembrata più falsa ed ipocrita: viviamo infatti in un periodo storico che sta di nuovo rialzando i muri, visibili ed invisibili.
Chi ieri era a celebrare la caduta del muro di Berlino, oggi e l’altro ieri è ed è stato il primo ad erigere i muri dell’intolleranza, della lotta all’immigrazione, della lotta al diverso e dell’elogio alla divisione che qualsiasi muro, visibile ed invisibile crea. Ed oggi i muri invisibili sono fin troppi, e che senso ha quindi festeggiare la caduta di un muro, avvenuta vent’anni fa, quando la storia tra l’altro era decisamente altra, e da essa non abbiamo imparato niente?
Ma senza parlare degli astratti muri invisibili, guardiamo la visibilità anche.
Gli stessi capi di stato che ieri erano a Berlino con i loro sorrisi e le loro belle parole di democrazia, avallano la politica di Israele che di muro ne ha costruito uno vero, che non è stato abbattuto, che non verrà abbattuto nei prossimi giorni e del quale non si celebrerà nessuna ricorrenza. Un muro di separazione, di violenze e di soprusi ai quali però tutti preferiamo non guardare, ai quali preferiamo convincerci che ci sia una buona spiegazione. Non credo che ci siano molte differenze dalla ‘Barriera di protezione antifascista’ eretta nel 1961.
Siamo tutti rivolti verso la festa, verso l’inno alla democrazia proveniente dalla Germania che ci chiama, ci fa sentire orgogliosi di avere lottato, in passato, per conquistare la libertà e l’unione. La terribile libertà di poter chiudere le frontiere e far morire centinaia di immigrati, la terribile libertà di essere rivolti ad una festa e di avere alle spalle l’orrore, abbastanza lontano da non sentirne nell’immediato le conseguenze. Il senso di unione che ci fa chiudere al diverso che quel senso potrebbe farcelo sprofondare nel vuoto. E allora, quali sono le conquiste che si stanno festeggiando?
Senza nulla togliere ai cambiamenti che quel 9 novembre 1989 ha portato nella storia mondiale, io non mi sento affatto partecipe di questa grandiosa festa che si celebra oggi.
Perchè dalla caduta di un muro sono passati vent’anni in cui di mura ne sono state erette troppe.
Concludo con un pensiero al popolo palestinese. E mi domando come ci si possa sentire a vedere alla televisione, su internet i festeggiamenti di ieri sera, avendo la coscienza di vivere dietro ad un muro e sotto violenze che quegli stessi festeggiamenti e festeggiatori approvano. E poi ci domandiamo perchè ci odiano.
Siamo tutti felici, no?!
Ma quale democrazia, quale felicità, quale conquista mi domando soprattutto.
I capi di stato riuniti a Berlino in una auto-celebrazione che mai m’è sembrata più falsa ed ipocrita: viviamo infatti in un periodo storico che sta di nuovo rialzando i muri, visibili ed invisibili.
Chi ieri era a celebrare la caduta del muro di Berlino, oggi e l’altro ieri è ed è stato il primo ad erigere i muri dell’intolleranza, della lotta all’immigrazione, della lotta al diverso e dell’elogio alla divisione che qualsiasi muro, visibile ed invisibile crea. Ed oggi i muri invisibili sono fin troppi, e che senso ha quindi festeggiare la caduta di un muro, avvenuta vent’anni fa, quando la storia tra l’altro era decisamente altra, e da essa non abbiamo imparato niente?
Ma senza parlare degli astratti muri invisibili, guardiamo la visibilità anche.
Gli stessi capi di stato che ieri erano a Berlino con i loro sorrisi e le loro belle parole di democrazia, avallano la politica di Israele che di muro ne ha costruito uno vero, che non è stato abbattuto, che non verrà abbattuto nei prossimi giorni e del quale non si celebrerà nessuna ricorrenza. Un muro di separazione, di violenze e di soprusi ai quali però tutti preferiamo non guardare, ai quali preferiamo convincerci che ci sia una buona spiegazione. Non credo che ci siano molte differenze dalla ‘Barriera di protezione antifascista’ eretta nel 1961.
Siamo tutti rivolti verso la festa, verso l’inno alla democrazia proveniente dalla Germania che ci chiama, ci fa sentire orgogliosi di avere lottato, in passato, per conquistare la libertà e l’unione. La terribile libertà di poter chiudere le frontiere e far morire centinaia di immigrati, la terribile libertà di essere rivolti ad una festa e di avere alle spalle l’orrore, abbastanza lontano da non sentirne nell’immediato le conseguenze. Il senso di unione che ci fa chiudere al diverso che quel senso potrebbe farcelo sprofondare nel vuoto. E allora, quali sono le conquiste che si stanno festeggiando?
Senza nulla togliere ai cambiamenti che quel 9 novembre 1989 ha portato nella storia mondiale, io non mi sento affatto partecipe di questa grandiosa festa che si celebra oggi.
Perchè dalla caduta di un muro sono passati vent’anni in cui di mura ne sono state erette troppe.
Concludo con un pensiero al popolo palestinese. E mi domando come ci si possa sentire a vedere alla televisione, su internet i festeggiamenti di ieri sera, avendo la coscienza di vivere dietro ad un muro e sotto violenze che quegli stessi festeggiamenti e festeggiatori approvano. E poi ci domandiamo perchè ci odiano.
lunedì 9 novembre 2009
Trenitalia...(di qualche mese fa ma sempre attuale..)
14/09/2009 TRENITALIA
Venerdì 12 settembre mi reco alla stazione di Torino porta Nuova per prendere un treno. Mi si prospettava un tranquillo weekend al mare, in Liguria.
Come sono solita fare, prendo il biglietto del treno alla biglietteria automatica, provvista anche di obliteratrice. E come al solito, appena mi ritrovo il biglietto tra le mani provvedo alla relativa convalida, obbligatoria per i treni regionali. Ma questa volta – strano – l’obliteratrice della macchina era fuori uso...così, mi dirigo al binario. Alzo la testa verso il tabellone per cercare il mio treno.
Identifico il binario. Salgo, appena in tempo per la partenza.
Mp3 nell’orecchio, libro sotto gli occhi e treno che viaggia verso il mare. Passa il controllore. Gli porgo il biglietto, serena, come sempre. Ad un certo punto vedo il signore controllore che fermo davanti a me gesticola. Spengo la musica che continuavo ad ascoltare. E lui: “Manca qualcosa....”.
In quel momento ho realizzato che m’ero dimenticata, nel passaggio dalla macchina automatica al binario, di cercare una obliteratrice funzionante. Mia colpa, smemorata. Anche se, quando mi preannuncia una multa di 50 euro, mi balza il cuore in gola. La prima cosa che mi viene in mente è che una piccola giustificazione ce l’ho anche io. E che non ero in cattiva fede, ma la prima obliteratrice era rotta e poi, in effetti, treno in partenza, m’ero dimenticata di cercarne un’altra.
Il controllore mi fa notare che avrei dovuto avvisarlo. Ma io, abituata ad obliterare il biglietto al momento dell’acquisto, mi ero dimenticata che questa volta non avevo potuto farlo. Quindi, in totale buona fede, come avrei potuto avvisare il controllore?!
Comunque, deve avermi creduto, o aver avuto pietà, mi ha fatto una multa come se lo avessi avvisato, quindi 5 euro e tante raccomandazioni di obliterare sempre il biglietto. Grunf.
Mi dimentico abbastanza presto dell’accaduto, il mare ed il sole aiutano, al punto che decido di posticipare il ritorno, previsto per domenica sera, al mattino presto di lunedì. In previsione di una partenza alle 7 del mattino penso di comprare i biglietti la domenica. Mi reco nella stazione di Rapallo, dove la biglietteria è chiusa ‘per malattia’, così riporta un foglio appeso fuori. Allora mi dirigo verso l’unica macchinetta automatica presente ma, essendoci una coda interminabile, vado a godermi il mare e rimando alla sera l’acquisto del biglietto.
Alle 19 ripasso in stazione e da lontano vedo la macchinetta libera, esulto sino a che non arrivo lì davanti...schermo vuoto blu...macchinetta guasta. Una signora che doveva cambiare un biglietto decide di chiamare il numero verde...ma non riceve risposta, gli operatori ‘sono sempre occupati’. Io invece decido di svegliarmi un pò prima al mattino successivo.
Alle 630 arrivo in stazione. C’è fermento, è un piovoso lunedì mattina, primo giorno di scuola per molti studenti. Mi dirigo verso la biglietteria ma reca ancora appeso il cartello del giorno prima. Macchinetta automatica idem, stesso schermo blu. Decido di chiamare io il numero verde, ma anche alle sette del mattino ‘gli operatori sono sempre occupati’. Mi reco al vicino tabacchi, per chiedere un consiglio, che è stato di recarmi in un’altra stazione per comprare il biglietto. Ma avrei perso il treno. Allora compro un biglietto a fascia chilometrica sino a Genova, non oltre. Essendo tali biglietti solo regionali non potevo farlo sino a Torino dove ero diretta.
Infine, salgo sul binario, mi affaccio al tabellone degli orari e con piacere noto che il mio treno porta 20 minuti di ritardo. Così, ancora preoccupata per non essere in possesso del titolo di viaggio, decido di seguire il consiglio del giornalaio e recarmi alla stazione successiva per completare l’acquisto. A Santa Margherita Ligure la biglietteria è aperta, chiedo delucidazioni su cosa mi sarebbe accaduto se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio imparziale, e la gentile signora mi dice che quando una biglietteria è chiusa per malattia il capotreno è avvisato, quindi basta andare da lui e farglielo presente, ‘non si dovrebbero pagare multe’. Interessante condizionale.
Compro infine il biglietto da Genova a Torino. Notando tra l’altro che la somma del chilometrico e della tratta aggiuntiva è maggiore del costo del solito biglietto Torino/Rapallo. Ma sono pochi spiccioli...Ritorno sul binario e noto che il ritardo del mio treno non è più di venti minuti ma di trenta. Decido allora di andare a fare colazione. Torno e noto che il ritardo del mio treno è arrivato a 40 minuti. Insomma, senza tirarla troppo per le lunghe, il ritardo arriverà sino ai 50 minuti. Ed io che dovevo partire alle 7.14, salirò sul treno alle 8.04. Ma, a consolarmi - se di consolazione si può parlare - ci sono i binari ricoperti da miriadi di persone preoccupate, che telefonano sui posti di lavoro per avvisare che arriveranno in ritardo. Il mio treno insomma non è l’unico ritardatario, sono in buona compagnia! E poi c’è sempre la voce registrata di Trenitalia, femminile e rassicurante, che continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Nel frattempo mi domando se è stato il temporale ad aver creato tutto questo trambusto...e ancora deve arrivare l’autunno vero! Intanto il primo temporale della stagione fa ammalare il personale, chiudere le biglietterie, rompere le macchinette automatiche, tiene occupati gli operatori dei call center e produce ritardi record su quasi tutti i treni!
Ed io rimugino, sorridendo perchè la vita va presa con filosofia, ma anche con una sensazione di rodimento dentro che mi si trascina, non so bene perchè!
E la simpatica voce continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Anche io mi ero scusata col controllore per essermi dimenticata di obliterare. E probabilmente mi sarei scusata se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio incompleto. Perchè io sono fatta così, se non faccio il mio dovere, anche se non è colpa mia, mi scuso.
Anche Trenitalia, quando non fa il suo dovere si scusa. Menomale, è buona educazione.
Però c’è una differenza. Che io oltre a scusarmi, pago anche le conseguenze delle mie – anzi, in realtà anche di qualcun altro - mancanze, anche se le mancanze non sono premeditate. Spesso e comunque vengono considerate tali, non si dubita della malafede delle persone e quindi, le persone devono pagare.
Invece noi utenti, noi cittadini che usufruiamo di un disservizio, continuo – perchè ho raccontato un solo episodio ma sono sicura che potrei aggiungerne mille altri – non possiamo in alcun modo far pagare l’incapacità cronica di gestire un servizio che farebbe vergognare chiunque. Ma è anche questa forse la privatizzazione di Trenitalia, un decadimento ed uno sfacelo che ormai passa nel silenzio assenso di tutti i viaggiatori. Pur perchè, che senso avrebbe parlare?! Che senso lamentarsi?! Qui non cambia mai niente. O forse siamo noi persone che non facciamo cambiare le cose? Si potrebbe aprire un sin troppo lungo dibattito.
Concludo ripensando ad una signora che è salita sul treno ritardatario qualche fermata dopo la mia.
Vede acqua per terra (la giornata piovosa imperversava) e si meraviglia perchè il treno (che tra l’altro era lercio come sempre i regionali) era stato pulito, assoggettando a tale pulizia - un pò d’acqua sporca sul pavimento - il ritardo. Non sto scherzando, ma forse questo episodio mi ha riconsegnato alla convinzione, nonché rassegnazione, che finché la gente non si sveglia, non apre gli occhi, le cose no che non cambiano. Ma forse alle 8 di un piovoso lunedì mattina, 14 settembre, conclusione dell’estate...insomma, è ancora presto per aprire gli occhi!
Venerdì 12 settembre mi reco alla stazione di Torino porta Nuova per prendere un treno. Mi si prospettava un tranquillo weekend al mare, in Liguria.
Come sono solita fare, prendo il biglietto del treno alla biglietteria automatica, provvista anche di obliteratrice. E come al solito, appena mi ritrovo il biglietto tra le mani provvedo alla relativa convalida, obbligatoria per i treni regionali. Ma questa volta – strano – l’obliteratrice della macchina era fuori uso...così, mi dirigo al binario. Alzo la testa verso il tabellone per cercare il mio treno.
Identifico il binario. Salgo, appena in tempo per la partenza.
Mp3 nell’orecchio, libro sotto gli occhi e treno che viaggia verso il mare. Passa il controllore. Gli porgo il biglietto, serena, come sempre. Ad un certo punto vedo il signore controllore che fermo davanti a me gesticola. Spengo la musica che continuavo ad ascoltare. E lui: “Manca qualcosa....”.
In quel momento ho realizzato che m’ero dimenticata, nel passaggio dalla macchina automatica al binario, di cercare una obliteratrice funzionante. Mia colpa, smemorata. Anche se, quando mi preannuncia una multa di 50 euro, mi balza il cuore in gola. La prima cosa che mi viene in mente è che una piccola giustificazione ce l’ho anche io. E che non ero in cattiva fede, ma la prima obliteratrice era rotta e poi, in effetti, treno in partenza, m’ero dimenticata di cercarne un’altra.
Il controllore mi fa notare che avrei dovuto avvisarlo. Ma io, abituata ad obliterare il biglietto al momento dell’acquisto, mi ero dimenticata che questa volta non avevo potuto farlo. Quindi, in totale buona fede, come avrei potuto avvisare il controllore?!
Comunque, deve avermi creduto, o aver avuto pietà, mi ha fatto una multa come se lo avessi avvisato, quindi 5 euro e tante raccomandazioni di obliterare sempre il biglietto. Grunf.
Mi dimentico abbastanza presto dell’accaduto, il mare ed il sole aiutano, al punto che decido di posticipare il ritorno, previsto per domenica sera, al mattino presto di lunedì. In previsione di una partenza alle 7 del mattino penso di comprare i biglietti la domenica. Mi reco nella stazione di Rapallo, dove la biglietteria è chiusa ‘per malattia’, così riporta un foglio appeso fuori. Allora mi dirigo verso l’unica macchinetta automatica presente ma, essendoci una coda interminabile, vado a godermi il mare e rimando alla sera l’acquisto del biglietto.
Alle 19 ripasso in stazione e da lontano vedo la macchinetta libera, esulto sino a che non arrivo lì davanti...schermo vuoto blu...macchinetta guasta. Una signora che doveva cambiare un biglietto decide di chiamare il numero verde...ma non riceve risposta, gli operatori ‘sono sempre occupati’. Io invece decido di svegliarmi un pò prima al mattino successivo.
Alle 630 arrivo in stazione. C’è fermento, è un piovoso lunedì mattina, primo giorno di scuola per molti studenti. Mi dirigo verso la biglietteria ma reca ancora appeso il cartello del giorno prima. Macchinetta automatica idem, stesso schermo blu. Decido di chiamare io il numero verde, ma anche alle sette del mattino ‘gli operatori sono sempre occupati’. Mi reco al vicino tabacchi, per chiedere un consiglio, che è stato di recarmi in un’altra stazione per comprare il biglietto. Ma avrei perso il treno. Allora compro un biglietto a fascia chilometrica sino a Genova, non oltre. Essendo tali biglietti solo regionali non potevo farlo sino a Torino dove ero diretta.
Infine, salgo sul binario, mi affaccio al tabellone degli orari e con piacere noto che il mio treno porta 20 minuti di ritardo. Così, ancora preoccupata per non essere in possesso del titolo di viaggio, decido di seguire il consiglio del giornalaio e recarmi alla stazione successiva per completare l’acquisto. A Santa Margherita Ligure la biglietteria è aperta, chiedo delucidazioni su cosa mi sarebbe accaduto se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio imparziale, e la gentile signora mi dice che quando una biglietteria è chiusa per malattia il capotreno è avvisato, quindi basta andare da lui e farglielo presente, ‘non si dovrebbero pagare multe’. Interessante condizionale.
Compro infine il biglietto da Genova a Torino. Notando tra l’altro che la somma del chilometrico e della tratta aggiuntiva è maggiore del costo del solito biglietto Torino/Rapallo. Ma sono pochi spiccioli...Ritorno sul binario e noto che il ritardo del mio treno non è più di venti minuti ma di trenta. Decido allora di andare a fare colazione. Torno e noto che il ritardo del mio treno è arrivato a 40 minuti. Insomma, senza tirarla troppo per le lunghe, il ritardo arriverà sino ai 50 minuti. Ed io che dovevo partire alle 7.14, salirò sul treno alle 8.04. Ma, a consolarmi - se di consolazione si può parlare - ci sono i binari ricoperti da miriadi di persone preoccupate, che telefonano sui posti di lavoro per avvisare che arriveranno in ritardo. Il mio treno insomma non è l’unico ritardatario, sono in buona compagnia! E poi c’è sempre la voce registrata di Trenitalia, femminile e rassicurante, che continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Nel frattempo mi domando se è stato il temporale ad aver creato tutto questo trambusto...e ancora deve arrivare l’autunno vero! Intanto il primo temporale della stagione fa ammalare il personale, chiudere le biglietterie, rompere le macchinette automatiche, tiene occupati gli operatori dei call center e produce ritardi record su quasi tutti i treni!
Ed io rimugino, sorridendo perchè la vita va presa con filosofia, ma anche con una sensazione di rodimento dentro che mi si trascina, non so bene perchè!
E la simpatica voce continua a ripetere ‘ci scusiamo per il ritardo’. Anche io mi ero scusata col controllore per essermi dimenticata di obliterare. E probabilmente mi sarei scusata se fossi salita sul treno con un titolo di viaggio incompleto. Perchè io sono fatta così, se non faccio il mio dovere, anche se non è colpa mia, mi scuso.
Anche Trenitalia, quando non fa il suo dovere si scusa. Menomale, è buona educazione.
Però c’è una differenza. Che io oltre a scusarmi, pago anche le conseguenze delle mie – anzi, in realtà anche di qualcun altro - mancanze, anche se le mancanze non sono premeditate. Spesso e comunque vengono considerate tali, non si dubita della malafede delle persone e quindi, le persone devono pagare.
Invece noi utenti, noi cittadini che usufruiamo di un disservizio, continuo – perchè ho raccontato un solo episodio ma sono sicura che potrei aggiungerne mille altri – non possiamo in alcun modo far pagare l’incapacità cronica di gestire un servizio che farebbe vergognare chiunque. Ma è anche questa forse la privatizzazione di Trenitalia, un decadimento ed uno sfacelo che ormai passa nel silenzio assenso di tutti i viaggiatori. Pur perchè, che senso avrebbe parlare?! Che senso lamentarsi?! Qui non cambia mai niente. O forse siamo noi persone che non facciamo cambiare le cose? Si potrebbe aprire un sin troppo lungo dibattito.
Concludo ripensando ad una signora che è salita sul treno ritardatario qualche fermata dopo la mia.
Vede acqua per terra (la giornata piovosa imperversava) e si meraviglia perchè il treno (che tra l’altro era lercio come sempre i regionali) era stato pulito, assoggettando a tale pulizia - un pò d’acqua sporca sul pavimento - il ritardo. Non sto scherzando, ma forse questo episodio mi ha riconsegnato alla convinzione, nonché rassegnazione, che finché la gente non si sveglia, non apre gli occhi, le cose no che non cambiano. Ma forse alle 8 di un piovoso lunedì mattina, 14 settembre, conclusione dell’estate...insomma, è ancora presto per aprire gli occhi!
mercoledì 4 novembre 2009
Università pubblica
Quanta amarezza.
Basta poco ormai.
E’ amaro avere voglia di studiare, di conoscere, e trovarsi davanti un muro insopportabile, perchè non dipende da te.
Quella dell’Università Italiana di oggi è ormai una selezione basata sul reddito.
Ecco la mia amarezza.
Mi piace studiare, non sono certo una studentessa modello, ma mi piace...poter fare solo quello è un lusso che ormai non posso più concedermi. Purtroppo me ne sono accorta troppo tardi.
Ciò che mi reca tanto sconforto è vedere quanto sia difficile sopravvivere, nella mia condizione di lavoratrice/ studentessa part-time, all’interno della casta universitaria fatta di docenti alienati chiusi nel loro sapere bigotto e di burocrazie lunghe, contorte, spesso inefficienti ma soprattutto costose, molto costose, troppo costose.
Faccio un esempio: sono in una delle fasce di reddito più basse, iscrizione part -time (paghi di meno, puoi sostenere meno esami), lavorando non sono frequentante.
Ebbene pago 1.200 euro all’anno per sostenere esami da non frequentante che prevedono quindi una mole non indifferente di lavoro in più. Sto parlando di una università statale e non privata.
Ambisco al conseguimento della laurea (specialistica) perchè mi piace e per concludere e mettere anche un punto alla fatica ed ai sacrifici che ho fatto per arrivare sino a qua. Sacrifici che non vengono mai riconosciuti, anzi.
Perchè quando non immoli la tua vita alla quotidianità universitaria (perchè non puoi permettertelo tra l’altro) sei uno studente di serie B. Io l’ho visto sulla mia pelle.
L’ho visto quando non ho preso una lode ‘perchè non ero frequentante’, parole dette a me in persona da un docente. Ma come, aver preparato un esame particolarmente difficile da sola, con quei risultati, non è degno di lode?!
L’ho visto quando ho sentito dire ad uno studente: “perchè lavora? perde tempo all’università...faccia un prestito per vivere in questi anni...” questo credo si commenti da solo.
L’ho visto nel momento in cui, costretta a iscrivermi part- time per pagare 200 euro in meno all’anno pago una cifra che mi si strozza la gola a nominarla.
L’Università dovrebbe essere un servizio pubblico, per i cittadini. Ma com’è possibile sostenere una spesa simile, alla quale andrebbero aggiunti i costi dei libri, delle dispense, del tempo, perchè anche quello ormai ha un suo costo?!
Ed è disarmante trovarsi davanti a dei docenti che si crogiolano nella loro posizione, nel loro sapere e che spesso sono quelli che scendono in piazza, o che si scandalizzano per i tagli al sapere ma sono i primi che tagliano il sapere, che lo decapitano totalmente nel momento in cui si chiudono nelle loro stanze, senza rendersi conto delle difficoltà che possono esserci dietro qualunque studente per arrivare sino a loro, giudicatori istruttori che si auto-elevano a detentori di una cultura, di una modalità di vita, senza tenere conto dell’umanità prima di tutto delle persone che hanno di fronte?
Il tutto, con le dovute eccezioni, perchè come sempre, ovunque ce ne sono. Piccole isole felici, di chi sapendo che lavori, o quanto paghi, sgrana gli occhi e mostra un lieve cenno di ammirazione, capace di riempirti per un attimo il cuore di gioia ed autostima.
Perchè la casta universitaria è anche capace di questo, di farti perdere autostima, perchè non dedichi la tua vita alla loro causa. Perchè sei fuori corso, perchè non frequenti oltretutto, perchè evidentemente non poni l’università al primo posto e non c’è motivazione che tenga, questo non va bene.
Che mi venga offerta la possibilità di farlo. Non solo con poche fasulle borse di studio (che uno studente part-time di laurea specialistica non può richiedere) dedicate a chi ha la fortuna di poter essere veramente parte integrante del sistema universitario.
Bisogna offrire la possibilità di studiare a tutti i cittadini. Questo è il principio fondante della cultura. Non è la scuola dell’obbligo sino ai 16 anni, o non lo è del tutto.
E’ la possibilità di frequentare una università che non costi 1200 euro all’anno per chi è nelle fasce più basse di reddito e con una iscrizione part-time che dovrebbe agevolare anche dal punto di vista economico!
Come se non bastasse a tutto questo si aggiunge un disservizio continuo del sistema d’ateneo, telematico e non. Continui errori, problemi, che fanno perdere giornate intere, perchè rimediare agli errori altrui e cercare spiegazioni è solo interesse dello studente.
E quando chiedo delucidazioni o faccio notare errori, avviene un vero e proprio scarica barile, nessuno sa niente e tutti rimandano a qualche imprecisato ufficio o a qualche imprecisato indirizzo mail (oggi non per ultimo un indirizzo mail segnalatomi da un ufficio universitario è risultato non essere più attivo!).
Non è questo ciò che ci si aspetta da un servizio profumatamente pagato. Non è questo che ci si dovrebbe aspettare neanche da un servizio rivolto al pubblico. Io mi aspetto che funzioni.
Ho buttato giù tante cose, velocemente. Tante cose che non vanno. Sono tante le colpe che concorrono, dalla più alta dello stato, alla più bassa dell’impiegato amministrativo a quella del singolo docente, di quel singolo docente che si lamenta della sua posizione eppure non riesce ad accorgersi che è il primo ad appartenere ad una casta che chiude le porte dell’università al popolo, con la differenziazione, con l’esclusione dovuta ad un terribile e pericoloso assunto: chi non frequenta non studia adeguatamente perchè non ha voglia (assunto che per quanto delle volte è verificabile non può essere generalizzato), quindi chi non frequenta non è degno di puntare al massimo.
Bisogna cambiare i punti di vista, scambiarli anche.
Se la cultura fosse un pò più accessibile a tutti, anche in forme diverse dalle tradizionali, probabilmente ci sarebbero molti meno problemi nel paese, nel mondo in cui viviamo. Ne abbiamo bisogno, eppure ci vengono chiuse le porte. Mentre la questione economica può essere più complessa, più corale anche da risolvere e di competenza certamente anche statale, si potrebbe iniziare però a cambiare la questione ‘morale’. Quella di chi la cultura la fa e la diffonde, di chi predica la libertà di espressione nonché la diffusione stessa della cultura tra il popolo e poi razzola in senso opposto: chiudendosi, facendo di quella stessa cultura una elite inaccessibile. Deve essere proprio bello chiudersi in una casta di presunti privilegi, economici, culturali....perchè è quello che più si sta affermando nel mondo di oggi. Una chiusura totale nelle proprie posizioni. Aprirsi, comunicare, scambiarsi opinioni, capire, aiutarsi, sono queste invece quelle che ai miei occhi appaiono le soluzioni vere. Quindi contradditemi pure, io non aspetto altro. Che a tutti vengano date le stesse possibilità.
Basta poco ormai.
E’ amaro avere voglia di studiare, di conoscere, e trovarsi davanti un muro insopportabile, perchè non dipende da te.
Quella dell’Università Italiana di oggi è ormai una selezione basata sul reddito.
Ecco la mia amarezza.
Mi piace studiare, non sono certo una studentessa modello, ma mi piace...poter fare solo quello è un lusso che ormai non posso più concedermi. Purtroppo me ne sono accorta troppo tardi.
Ciò che mi reca tanto sconforto è vedere quanto sia difficile sopravvivere, nella mia condizione di lavoratrice/ studentessa part-time, all’interno della casta universitaria fatta di docenti alienati chiusi nel loro sapere bigotto e di burocrazie lunghe, contorte, spesso inefficienti ma soprattutto costose, molto costose, troppo costose.
Faccio un esempio: sono in una delle fasce di reddito più basse, iscrizione part -time (paghi di meno, puoi sostenere meno esami), lavorando non sono frequentante.
Ebbene pago 1.200 euro all’anno per sostenere esami da non frequentante che prevedono quindi una mole non indifferente di lavoro in più. Sto parlando di una università statale e non privata.
Ambisco al conseguimento della laurea (specialistica) perchè mi piace e per concludere e mettere anche un punto alla fatica ed ai sacrifici che ho fatto per arrivare sino a qua. Sacrifici che non vengono mai riconosciuti, anzi.
Perchè quando non immoli la tua vita alla quotidianità universitaria (perchè non puoi permettertelo tra l’altro) sei uno studente di serie B. Io l’ho visto sulla mia pelle.
L’ho visto quando non ho preso una lode ‘perchè non ero frequentante’, parole dette a me in persona da un docente. Ma come, aver preparato un esame particolarmente difficile da sola, con quei risultati, non è degno di lode?!
L’ho visto quando ho sentito dire ad uno studente: “perchè lavora? perde tempo all’università...faccia un prestito per vivere in questi anni...” questo credo si commenti da solo.
L’ho visto nel momento in cui, costretta a iscrivermi part- time per pagare 200 euro in meno all’anno pago una cifra che mi si strozza la gola a nominarla.
L’Università dovrebbe essere un servizio pubblico, per i cittadini. Ma com’è possibile sostenere una spesa simile, alla quale andrebbero aggiunti i costi dei libri, delle dispense, del tempo, perchè anche quello ormai ha un suo costo?!
Ed è disarmante trovarsi davanti a dei docenti che si crogiolano nella loro posizione, nel loro sapere e che spesso sono quelli che scendono in piazza, o che si scandalizzano per i tagli al sapere ma sono i primi che tagliano il sapere, che lo decapitano totalmente nel momento in cui si chiudono nelle loro stanze, senza rendersi conto delle difficoltà che possono esserci dietro qualunque studente per arrivare sino a loro, giudicatori istruttori che si auto-elevano a detentori di una cultura, di una modalità di vita, senza tenere conto dell’umanità prima di tutto delle persone che hanno di fronte?
Il tutto, con le dovute eccezioni, perchè come sempre, ovunque ce ne sono. Piccole isole felici, di chi sapendo che lavori, o quanto paghi, sgrana gli occhi e mostra un lieve cenno di ammirazione, capace di riempirti per un attimo il cuore di gioia ed autostima.
Perchè la casta universitaria è anche capace di questo, di farti perdere autostima, perchè non dedichi la tua vita alla loro causa. Perchè sei fuori corso, perchè non frequenti oltretutto, perchè evidentemente non poni l’università al primo posto e non c’è motivazione che tenga, questo non va bene.
Che mi venga offerta la possibilità di farlo. Non solo con poche fasulle borse di studio (che uno studente part-time di laurea specialistica non può richiedere) dedicate a chi ha la fortuna di poter essere veramente parte integrante del sistema universitario.
Bisogna offrire la possibilità di studiare a tutti i cittadini. Questo è il principio fondante della cultura. Non è la scuola dell’obbligo sino ai 16 anni, o non lo è del tutto.
E’ la possibilità di frequentare una università che non costi 1200 euro all’anno per chi è nelle fasce più basse di reddito e con una iscrizione part-time che dovrebbe agevolare anche dal punto di vista economico!
Come se non bastasse a tutto questo si aggiunge un disservizio continuo del sistema d’ateneo, telematico e non. Continui errori, problemi, che fanno perdere giornate intere, perchè rimediare agli errori altrui e cercare spiegazioni è solo interesse dello studente.
E quando chiedo delucidazioni o faccio notare errori, avviene un vero e proprio scarica barile, nessuno sa niente e tutti rimandano a qualche imprecisato ufficio o a qualche imprecisato indirizzo mail (oggi non per ultimo un indirizzo mail segnalatomi da un ufficio universitario è risultato non essere più attivo!).
Non è questo ciò che ci si aspetta da un servizio profumatamente pagato. Non è questo che ci si dovrebbe aspettare neanche da un servizio rivolto al pubblico. Io mi aspetto che funzioni.
Ho buttato giù tante cose, velocemente. Tante cose che non vanno. Sono tante le colpe che concorrono, dalla più alta dello stato, alla più bassa dell’impiegato amministrativo a quella del singolo docente, di quel singolo docente che si lamenta della sua posizione eppure non riesce ad accorgersi che è il primo ad appartenere ad una casta che chiude le porte dell’università al popolo, con la differenziazione, con l’esclusione dovuta ad un terribile e pericoloso assunto: chi non frequenta non studia adeguatamente perchè non ha voglia (assunto che per quanto delle volte è verificabile non può essere generalizzato), quindi chi non frequenta non è degno di puntare al massimo.
Bisogna cambiare i punti di vista, scambiarli anche.
Se la cultura fosse un pò più accessibile a tutti, anche in forme diverse dalle tradizionali, probabilmente ci sarebbero molti meno problemi nel paese, nel mondo in cui viviamo. Ne abbiamo bisogno, eppure ci vengono chiuse le porte. Mentre la questione economica può essere più complessa, più corale anche da risolvere e di competenza certamente anche statale, si potrebbe iniziare però a cambiare la questione ‘morale’. Quella di chi la cultura la fa e la diffonde, di chi predica la libertà di espressione nonché la diffusione stessa della cultura tra il popolo e poi razzola in senso opposto: chiudendosi, facendo di quella stessa cultura una elite inaccessibile. Deve essere proprio bello chiudersi in una casta di presunti privilegi, economici, culturali....perchè è quello che più si sta affermando nel mondo di oggi. Una chiusura totale nelle proprie posizioni. Aprirsi, comunicare, scambiarsi opinioni, capire, aiutarsi, sono queste invece quelle che ai miei occhi appaiono le soluzioni vere. Quindi contradditemi pure, io non aspetto altro. Che a tutti vengano date le stesse possibilità.
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