domenica 31 marzo 2013

In viaggio – Da Rio de Janeiro a Corumbà


Se prendete una mappa dell'America del Sud e puntate il dito nel centro, ecco, io è proprio là che mi trovo. Corumbà, cittadina di confine tra il Brasile e la Bolivia che dista a circa 10 minuti.
Da Rio de Janeiro abbiamo preso un volo interno sino a Sao Paulo. Subito noto come comodità e spazio per le gambe siano nettamente migliori del volo internazionale che mi ha portato sino in Brasile. A Sao Paulo c’è stato uno scalo che doveva essere solo uno scalo ma poi è diventato un cambio aereo, utile per respirare qualche secondo il clima, un po’ meno umido di Rio, del caldissimo autunno brasiliano. Da Sao Paulo un’altra ora e quaranta minuti di viaggio sino a Campo Grande. Arrivati in aeroporto ci aspetta un’amica/collega Brasiliana alla quale non posso negare di lasciarmi offrire una birretta di ben venuto.
Pronti partenza e via, in quattro ben comodi su un pick-up fuoristrada iniziamo a percorrere quella che penso essere l’unica strada da Campo Grande a Corumbà, 500 km nel mezzo dell’area naturalistica del Pantanal. Ancora una volta una gamma di incredibili verdi si mischia con la terra rossa rossa e con un cielo assolato e delle nuvolette che rendono il tutto molto pittoresco. 
Qualche palma qua e là, all’inizio il paesaggio è pianeggiante poi compaiono a tratti delle montagnette rocciose. Molte foreste. L’autista ci spiega che quella è un zona di produzione di legna, ci indica una foresta gigante cresciuta in soli 4 anni. 
Poi scorgiamo delle montagnette di terra rossa alte più o meno sino ad un ginocchio, qualcuna anche più alta di una mucca che le pascolava accanto. Sono formicai o termitai, mai vista una cosa del genere, ce ne sono decine e decine nei campi che attraversiamo.

Il paesaggio a tratti, nel mio banale immaginario, mi fa un po’ pensare alla savana che non ho mai visto ma che appunto immagino un po’ così come i paesaggi che mi scorrevano davanti al finestrino.

Sosta. Mangiamo un pane al queijo (formaggio) e nel frattempo sfogliamo un libretto che elenca alcune delle specie animali presenti nella zona: coccodrilli – o alligatori? Quanta ignoranza mi accorgo di avere sugli animali - uccelli di mille specie e colori diversi, capivara – che assieme al coccodrillo pare sia una delle carni mangiate in zona – ed il formichiere di cui io m’ero dimenticata l’esistenza e che mi ha riportato all’infanzia, quando sfogliavo delle carte con i nomi degli animali e guardavo incuriosita questo “coso” dal muso lungo che infilava nei formicai. In effetti con dei formicai tanto grandi non poteva non esserci un formichiere in zona.
Ripartiamo. Che colori, che paesaggi, vediamo degli strani uccelli, tipo struzzi. Mi sembra incredibile, guardare scorrere questo cielo, questa natura inimmaginata dal finestrino della macchina, con di sottofondo una colonna sonora pop occidentale un pò antica– U2, Police, Madonna, ad un certo punto addirittura i 4 Non Blondes e i Pet Shop Boys - che stona ma allo stesso tempo si accorda in qualche modo con tutto il resto. Forse perché quando uno è sereno, poi tutto s’accorda. Mi sento molto fortunata a vedere tutto questo, cerco di fare tante foto per poterne condividere almeno un po’. Seconda sosta all’ultimo punto di ristoro sulla strada prima di affrontare 160 km di nulla.
Ripartiamo e quasi subito sul lato della strada vedo un alligatore - jacarés in portoghese credo quindi si tratti di alligatori quelli che ci sono in zona e non coccodrilli – probabilmente morto dopo essere stato investito nel tentativo di attraversare la strada. Noi abbiamo i gatti, i cani, le volpi tuttalpiù, qua ci sono gli alligatori e, poco dopo, un formichiere!! Lo riconosco subito dal musone lungo spappolato sull’asfalto. Ancora abbiamo incontrato una tarantola, viva, che attraversava la strada. Ma questa io non l’ho vista.
Animali investiti a parte sembra quasi un esercizio di rilassamento questo viaggio, è così piacevole abbandonarsi alla musica, al paesaggio, ai pensieri, all’andamento della macchina. Un tramonto mozzafiato accompagna il tutto.

Ad un certo punto, l’autista accosta, vicino ad un corso d’acqua, siamo praticamente su un ponte. Non capisco bene, finché non scorgo dal finestrino una marea di “jacarés” nel fiume sottostante.

L’autista apre la porta – ed io subito dietro a lui – per scendere a vedere. Maledetta curiosità. Non appena apriamo le portiere una nuvola nera di zanzare invade la macchina. Richiudiamo subito ma a quel punto il danno era fatto, allora, ancora più incoscienti, tutti insieme decidiamo di scendere, che sarà mai. Avvolta in una nuvola di zanzare, scatto persino una foto agli alligatori, poi mi giro e vedo le schiene dei miei compagni di viaggio totalmente ricoperte di zanzare, confesso che a quel punto mi sono spaventata. Ci rendiamo conto che sono effettivamente troppe e corriamo a rifugiarci in macchina. Ma ormai il danno è fatto, oltre ad essere stata divorata dalle zanzare, specialmente su collo, braccia e gambe, la macchina è stracolma. 

Dopo un momento di panico, capisco che l’unico modo per sopravvivere e non morire di crisi isterica in una macchina al centro dell’America latina, è di mantenere la calma. Bevo un po’ d’acqua (per buttare giù quelle indigeste zanzare che avevo in gola), mi bagno un po’ la fronte chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi. Credo di aver in qualche modo fatto meditazione. Ho pensato che andava tutto bene, che non dovevo grattarmi, ho pensato che non avevo punture. Nel frattempo però la miriade di zanzare in macchina infastidiva il mio tentativo di rilassamento, quindi è cominciata una vera e propria guerra 4 esseri umani – di cui i due brasiliani con pochissime punture a confronto! – contro miriadi di insetti. Dopo circa 1 ora e mezza di viaggio e qualche punturina in più, - che a quel punto non faceva la differenza - abbiamo vinto noi. Io ho continuato a cercare in me stessa calma e rilassamento, nonostante un po’ di paura per il gonfiore che però è andato via subito. Sono stata contenta di essermi vaccinata per la febbre gialla! Ritorna la calma, e tante risate che, devo dire, in perfetto stile Brasiliano, non sono mai mancate, neanche quando stavamo all’aperto avvolti da una nube di zanzare!
Un particolare: spettatori di tutta questa scena oltre a noi quattro, gli alligatori e le zanzare, sono stati un signore di una certa età brasiliano, comodamente seduto su una sedia a bordo strada, avvolto, impassibile dalle zanzare, assieme al suo cane sonnacchioso, che vegliavano sulla strada dall’uscio di una baracchetta. Ora mi domando se me lo sono immaginata o se era effettivamente un essere umano vivo.
Arriviamo a Corumbà che ormai è buio, vedo spuntare da una collina un cristo tipo quello di Rio.  Attraversiamo strade male asfaltate, case basse, macchine vecchie, baretti e spacci coloratissimi, che nel mio soltio immaginario fanno molto Messico. 

Arriviamo in un albergo d'altri tempi, una doccia al volo, crema per alleviare le punture, repellente antizanzare su tutto il corpo e via. Una giornata così si può concludere solo facendosi due risate davanti ad una birretta con amici e colleghi. Pronti per cominciare a lavorare.




                                                               

sabato 30 marzo 2013

Ciao Rio!


Solo pochi giorni ed eccomi pronta per ripartire, ma confermo la prima impressione. Qua è tutto grande, è tutto pieno di cose da fare, colori da vedere, cibi da assaporare, profumi da odorare. Ne ho presi un po’ e me li porterò dietro, sperando di ritornare presto ed approfondire il tutto. Ho fatto grandi passeggiate, sulle spiagge soprattutto ma anche in città. Bagnare i piedi nell’Oceano porta sollievo, alle vescichette da infradito ma anche all’animo ed ai pensieri che si aprono sull’immensità del mare che c’hai davanti e che ti fa sognare di grandi avventure, di miti eroici e di terre che una volta erano. Scopro la bibita più naturale che esista: l’acqua di cocco. Alla prima impressione non sa di niente, alla seconda – forse il cocco era più maturo? – è buonissima e dissetante, non troppo dolce, leggermente saporita di un non so che di esotico. Promossa, assieme a tutti i succhi di frutta fresca che mi ricordano quanto semplice e buona sia la natura.

La mia pelle non era pronta al sole sub equatoriale. Nonostante un’esposizione attenta e una protezione totale sono diventata ben fuxia con chiazze. Un po’ perché non so spalmare bene la crema solare – non me lo hanno insegnato, quando ero bambina lo faceva la mamma – un po’ perché credo che l’incrocio della mia pelle bianca bianca e delicata con il sole rosso rosso e focoso di qua, crei questo colorito che definirei, appunto, fuxia. Nulla di grave, non sono bruciata.
Il caldo umido invece sembra essere migliorato. Non so se perché è realmente migliorato o se perché io mi sono un po’ abituata, comunque gli ultimi due giorni son stati caldi, con sole e pioggia fissa alla sera, ma il tutto ben sopportabile. Addirittura ho sentito una brezza leggera da “maglioncino a manica lunga” per dieci minuti di sera (stando ferma a guardare il mare). Il caldo mi aveva mentalmente proiettata in estate ma il buio alle 18.30 circa mi ha ricordato che qua stiamo viaggiando verso l’inverno, ora è autunno, e che le giornate vanno accorciandosi.
Oggi avevo in mente di andare in un posto. Dopo approfondite ricerche su internet capisco bene dov’è, mappa alla mano, cerco di intuire come raggiungerlo, accettando mentalmente l’idea di poter prendere un taxi se necessario. Ancora non mi è chiaro come funzionano i bus in questa città, hai le fermate, tante vicine tra loro, ma non sempre hai numeri e percorsi dei bus scritti da qualche parte. Sui bus che stanno arrivando c’è però scritto più o meno dove portano e per dove passano. Quindi se conosci Rio ed i quartieri puoi tentare. Ma puoi tentare anche senza conoscere, se hai un po’ di pazienza e sai dove andare e ti lanci al volo sul primo bus che abbia una scritta utile. Io sono partita con l’idea di avvicinarmi alla meta con il bus per poi eventualmente prendere un taxi sino a destinazione finale. Una volta trovato un bus di “avvicinamento” con il ditino puntato sulla mappa ne ho seguito il percorso. È un bel modo per imparare a conoscere un luogo, salire sugli autobus in generale. Fanno sempre strade nuove, ti portano in giro e vedi un sacco di cose. E così è stato. 

Avendo così poco tempo a Rio, aver preso un autobus è stato un bel modo per vedere tante cose che diversamente non avrei visto, inoltre la fortuna ha voluto che così, al primo colpo, sono salita su un autobus che, alla fine, mi ha lasciata a destinazione. La sorpresa è stata che devo aver fatto male le mie ricerche su internet perché la mia meta non era la meta che effettivamente volevo raggiungere. Una passeggiata e una vista su una baia niente male comunque sono valse il viaggetto. 

Presto però mi rendo conto che l’autobus ha fatto così di fretta perché oggi è venerdì festivo e tutto il centro, uffici, negozi, locali, è una vera città fantasma. Proprio come mi avevano detto. Girano poche anime che non mi fanno sentire tanto tranquilla. Quindi cerco una fermata di bus e salgo sul primo che mi porti in direzione spiaggia: passeggiata a Copacabana, dove si è evidentemente riversata la gente che durante la settimana lavora in centro. L’autobus fa un percorso ancora nuovo e vedo ancora un pezzetto inedito di questa variegata città. Una particolarità: sugli autobus, per prenotare la fermata, si tira un filo blu che scorre parallelo al corrimano alto (quello su cui ci si regge, per intenderci, ma non quello verticale, quello che sta in alto orizzontale dove le persone più basse non arrivano mai). Quanto mi piace il filo blu!

Dopo passeggiata a Copacabana, bagnetto ai piedi provati dal tanto camminare e succo di abacaxi (ananas) sulla spiaggia, rientro sempre con un pullman. 
Mentre cerco una fermata rivolgo lo sguardo all'uscita di una galleria che percorre uno dei monti del centro città e il mio sguardo viene catturato dall'ammasso di case che si inerpicano proprio sopra la galleria, deve essere una favela.

Salgo sul bus appena pochi secondi prima dell’usuale scroscio di pioggia serale e mi diverto a guardare i tipi da spiaggia camminare, come se nulla fosse, sotto una pioggia torrenziale. 
Arrivata in albergo è giunta l’ora di rifare la valigia, domani si parte. Da Rio prenderò un volo per Sao Paulo, poi altro volo da Sao Paulo a Campo Grande e poi si prosegue in macchina, per 500 km sino a Corumbà, città di frontiera al confine con la Bolivia, regione del Mato Grosso do Sul. Corumbà è situata nella più grande zona umida del mondo il Pantanal, patrimonio Unesco, è considerato l'ecosistema con il maggior numero di specie di flora e fauna del mondo. Paura per gli animali che potrei incrociare e per l’umidità a parte, sono molto curiosa.

giovedì 28 marzo 2013

Rio de Janeiro - Le mie prime 13 ore di volo – Prime impressioni


Pronti partenza e via. Dopo quasi due mesi di attesa e problemi con il visto lavorativo, si parte per il Brasile. Tanta inutile burocrazia per ottenere un visto mi fa pensare sempre a quanto sarebbe bello un mondo senza frontiere. Prima ancora di quelle burocratiche sono forse quelle mentali che dobbiamo eliminare.
Comunque, preparo la valigia per tre mesi in Brasile in un giorno di neve torinese e non è affatto facile pensare al clima caldo umido che mi aspetta a Rio de Janeiro ma anche negli altri posti in cui andrò per lavoro: Corumbà - regione del Mato Groso du Sul, al confine con la Bolivia – Cruzeiro do Sul - stato dell’Acre, al confine col Perù – Brasilia… Guardo un po’ su internet per farmi un’idea, ma ancora non è facile sotto la neve pensare al caldo e difatti, col senno di poi, nella mia valigia ci sono troppi inutili maglioncini di mezza stagione e magliette a maniche lunghe che non userò mai e che avrei dovuto/potuto rimpiazzare con vestiti estivi e leggeri, gli unici che realmente utilizzerò.
Così come è stato difficile immaginare il meteo è stato difficile immaginare Rio de Janeiro. Persino le foto che avevo visto, le letture, non rendono bene l’idea, l’atmosfera di questo posto. 
Dopo 12 scomodissime e rumorosissime ore di viaggio in classe economy, durante le quali le mie gambe e la mia schiena stavano per entrare in sciopero – la classe economy decisamente non è pensata per chi è tanto alto – finalmente arrivo in Brasile. 
Nell’ultima ora di volo comincio ad intravedere dal finestrino la terra.
Vedo verde, tanto verde, di un verde diverso che ancora mancava alla mia gamma dei verdi. Vedo colline e montagne ed il letto di un fiume ben marrone che si snoda in ampie anse infilandosi tra questo verde non verde. Che emozione. Dopo le prime tredici ore di volo della mia vita, arrivo - per la prima volta nella mia vita - nel nuovo mondo.
Appena scendo dall’aereo la prima sensazione è di soffocare. Caldo sì, ma soprattutto umidità, ci vuole un momento per abituarsi, poi la stagione di pioggia, il cielo grigio, non aiutano.
Il tragitto dall’aeroporto all’albergo: una mezz’ora di attraversamento della città in cui si afferma quella percezione di un verde diverso che si declina nelle mille colorazioni di quella che per me è una vera e propria giungla con piante ed alberi mai visti. Tragitto in cui ho pensato e ripensato a tutte le cose che ho letto, sentito dire, visto, immaginato di Rio e cerco con lo sguardo rivolto a tutto ciò che vedo, di ritrovarle al volo…cerco il Cristo, ma la giornata nuvolosa non aiuta, cerco una montagna che assomigli ad un panettone, il Pão de Açúcar, cerco di capire così a colpo d’occhio com’è fatta questa città lagunare, con le montagne sul mare, cerco le favelas e subito appena si esce dall’aeroporto c’è quella che mi dicono essere la più grande di Rio, infine cerco il mare, l’Oceano e dopo un po’ arriva…

Andare in un posto per lavoro ti aiuta a fare e a vedere cose che per vacanza non vedresti, ti aiuta a rapportarti alle persone ed alle situazioni di un luogo in una maniera diversa. Il mio primo giorno ad esempio è iniziato con pratiche burocratiche da risolvere che mi hanno immediatamente calato nel quotidiano brasiliano. Subito ho notato l’incredibile gentilezza e disponibilità un po’ di tutti, anche quando provi a parlare un improbabile portoghese. Gentilezza, disponibilità da un lato e anche estrema lentezza, che all’inizio, per noi, abituati ad uno stile di vita rapido e sempre di fretta, è veramente difficile da accettare e da capire. Parlando anche un po’ con brasiliani e non, ascoltando un po’ di storie mi è parso di intuire che qui le persone vivono la vita in modi che forse noi d’oltreoceano non riusciamo bene ad immaginare, così calati nella nostra fretta, nella nostra quotidianità, nelle nostre preoccupazioni. Qui c’è molto meno pensiero per il futuro e si vive molto di più il presente, questo mi è parso di capire e mi è piaciuto. Viviamo la nostra vita continuamente protesi nella costruzione di un futuro, ci parlano del futuro sin da quando siamo bambini, bisogna costruire il futuro e ci ritroviamo da grandi con qualcosa che forse ci è sfuggito e con l’apprensione per un futuro che non sembra essere mai come lo vorremmo. Pensare ad un mondo che vive il presente senza troppo porsi il problema del futuro è rivoluzionario e lascia spazio a miriadi di riflessioni, specialmente in questo momento storico, politico e culturale che sta vivendo la vecchia Europa.

Paesaggisticamente Rio è incredibile, una laguna, con delle montagne dalle forme più improbabili che spuntano dal mare, con una natura in parte selvaggia, dai colori tropicali, dalla presenza maestosa ma in parte anche addomesticata da grattacieli, da case colorate e da ammassi di mattoni che sono le favelas: paesi abusivi giganti nella metropoli gigante, nati in seguito alla fuga di schiavi che trovavano rifugio tra le montagne. Paesi che si sono poi ingigantiti sino a diventare vere e proprie comunità senza leggi e senza controllo. Non so dire molto al momento a riguardo, se non che fa impressione vedere queste comunità nettamente distinte, queste esplosioni di mattoni colorati, tra i quali non riesci a scorgere strade, esplodere sulle montagne alle cui pendici, a distanza di un attraversamento di strada a volte, sorgono poi residenze di lusso. Alcune favelas adesso stanno migliorando, le persone che lavorano spesso scelgono di rimanere a viverci e di migliorare quelle case se pur abusive. Altre addirittura godono di viste mozzafiato tali che cominciano ad essere posti ricercati da ricchi internazionali, spesso artisti, che comprano case per risistemarle. Altre ancora rimango non luoghi chiusi all’esterno e all’interno. Non so bene, riporto racconti, quanto sentito dire, ho visto e sentito ancora poco e poco sono informata a riguardo.
È tutto molto diverso ma stranamente non mi sento così estraniata, anzi. Mi piace assai. E ringrazio tre preziosi compagni di viaggio che in questi giorni mi hanno aiutata a farmi sentire molto meno estraniata e persa nella grandezza della città e nell’impatto col nuovo mondo, lavorativo e non.
Rio è gigante, molto difficile muoversi, molto molto traffico, distanze enormi, si può stare ore sui mezzi pubblici, un po’ come Roma insomma! Peccato che ci siano 4 milioni di abitanti in più! Una sorpresa è stata il cosiddetto centro molto più “occidentale” di quanto pensassi. 

Pieno di grattacieli, stradoni, uffici – alle 7 di sera pare che si svuoti diventando una vera e propria città fantasma – fa pensare ad un mix di città europee, al tempo stesso poi tra i grattacieli ed i palazzoni trovi angoli che nel mio banale immaginario fanno molto “sudamerica”: casette basse, colorate, caos, mercati coloratissimi.

Sono stata in centro a fare il vaccino per la febbre gialla, gratuito per tutti stranieri inclusi, un’oretta di coda e via con tanto di certificato, per 10 anni non sarà questa la mia morte.
Inaspettato invece il costo della vita, prezzi molto alti per tutto, persino per la frutta che è buonissima e ci sono varietà mai mangiate prima ma che paghi care. Per il resto, si mangia molto bene, anche se friggono quasi tutto!
Il tempo non aiuta in questi giorni, stiamo entrando in pieno autunno, nuvoloso, piove molto, ma fa sempre un gran caldo ed una umidità ancora più forte si alza nell’aria dopo la pioggia. Ma è divertente camminare sotto la pioggia, senza ombrello, come se nulla fosse, qua lo fan tutti. Ho camminato tanto, un po’ di apprensione iniziale, soprattutto quando non sai bene dove ti trovi, ma in realtà mi sono sempre sentita molto tranquilla. Un po’ di attenzione non guasta mai, ma al momento camminare ovunque è sempre stato un piacere. A fine giornata in centro in fila indiana per prendere un autobus, altre due orette di spostamenti per rientrare in albergo, ma l’autobus attraversa la città in posti che ancora non ho visto, il sambodromo per esempio, e poi, d’improvviso, di notte, tra le nuvole, appare in alto illuminato di bianco, il Cristo che sino ad oggi era rimasto nascosto….fa un certo effetto…
Causa problemi di prenotazione voli rimarrò ancora qualche giorno a Rio, mi fa piacere avere la possibilità di vedere qualcos’altro, speriamo esca il sole. Oggi grande passeggiata sulla spiaggia di Barra di Tijuca. Che meraviglia. 

Lungo la spiaggia ogni tanto trovi del verde – non so ben dire cosa sia – che è stato lasciato così per far vedere come erano quelle spiagge prima dell’arrivo dei colonizzatori. Ti immagini allora tutto questo posto come poteva essere. Un paradiso terrestre. La laguna, le montagne, i colori, la foresta, i canali….chissà che impressione deve essere stata sbarcare su queste spiagge. Metto i piedi nell’Oceano Atlantico che non è affatto freddo oggi. Mi sento molto fortunata a stare qua. C’è qualcosa di rilassante nell’aria e nelle persone. Già al secondo giorno, guardo dall’altra parte dell’oceano e penso a quanto passiamo la nostra vita in pena per un futuro che non conosciamo e a quanto tante preoccupazioni ci stiano facendo cadere in basso…non so se qua c’è qualche forma di soluzione, non credo che necessariamente dobbiamo trovare la cura ai nostri mali, ma sicuramente vedere e pensare ad altri modi di essere può forse aiutarci a scovare nuove prospettive, nuove priorità. Ad oggi per esempio la famosa idea del baretto sulla spiaggia non mi sembra affatto male…ma sono solo prime impressioni.




mercoledì 6 marzo 2013

Copio e incollo un articolo di Maurizio Pallante che avrei voluto scrivere io! :-)


Se fossi laureato in economia e non in lettere

Dopo aver letto il post “La decrescita totalitaria”, di Stefano Feltri, ho immaginato di essere un "economista", ed ho fatto un paio di considerazioni. Ad esempio, se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei: chi ha governato l'economia e la finanza nei decenni passati, chi la sta governando, chi ha la responsabilità della crisi che sta sconvolgendo i paesi industrializzati, chi è incapace di trovare le misure di politica economica adeguate per uscirne: i laureati in economia o i laureati in lettere?

Se fossi laureato in economia e non in lettere, mi domanderei se è veramente desiderabile, ammesso che sia possibile, uscire dalla crisi con la ripresa della crescita di un prodotto interno lordo in cui incidono in misura significativa gli sprechi di cibo (il 3 per cento del pil), gli sprechi di energia (il 70 per cento dei consumi), gli incidenti automobilistici, il consumo di medicine, le spese di riparazione e di ripristino dei danni ambientali causati da processi produttivi finalizzati alla crescita del prodotto interno lordo, la cura delle malattie causate dalla crescita delle emissioni e delle produzioni inquinanti, la produzione di armi e le guerre.

Se fossi laureato in economia e non in lettere, non eviterei comunque di ripassare la differenza tra la congiunzione “e” e il verbo “è”, perché un conto è dire “meno e meglio” e un altro è dire “meno è meglio”. Se per i talebani della crescita più è sempre meglio, anche quando è peggio (es.: gli sprechi di energia in un edificio mal costruito), i sostenitori della decrescita felice non pensano, né scrivono, che meno è sempre meglio, ma sanno distinguere quando lo è (es.: la riduzione dei consumi di energia in un edificio ben costruito). I talebani della crescita si limitano a usare grossolani criteri di valutazione quantitativi, i sostenitori della decrescita felice utilizzano parametri qualitativi.

Se fossi laureato in economia e non in lettere terrei in una certa considerazione l’insegnamento di un economista tra i più importanti del Novecento, John Kenneth Galbraith, che nel 1968 ha suggerito a Robert Kennedy di rivelare l’inganno dell’equazione tra crescita del Pil e crescita del benessere, perché il Pil cresce anche quando cresce la produzione di merci che peggiorano la nostra vita, come le armi, il tabacco, la riparazione delle automobili incidentate, mentre non può misurare il benessere generato da attività che non generano una compravendita, come le relazioni umane, l’autoproduzione di beni, l’economia del dono e della reciprocità.

Se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei: se basta il banale buon senso per decidere di produrre cose utili invece di cose inutili o dannose, di utilizzare processi non inquinanti anziché processi inquinanti, di ridurre gli sprechi invece di incentivare un consumo dissipativo delle risorse, come mai i laureati in economia che governano l’economia e la finanza non indirizzano su questa strada gli investimenti per superare la crisi? I laureati in economia sono privi del banale buon senso?

Se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei se la scelta di aumentare la produttività per far crescere il Pil e rendere le aziende più competitive sul mercato mondiale non comporti una riduzione dell’incidenza del lavoro umano per unità di prodotto e quindi una riduzione dell’occupazione e della domanda a fronte di un aumento dell’offerta; se cioè non aggravi la crisi invece di attenuarla (per non parlare della sofferenza umana di chi non ha occupazione, ma gli esseri umani per chi è laureato in economia sono semplici fattori della produzione, quello che conta è la crescita).

Se fossi laureato in economia e non in lettere, non avrei comunque nessuna ritrosia a leggere ciò che scrivono quelli che la pensano diversamente da me, perché il vero fondamento di una deriva totalitaria è proprio l’intolleranza, soprattutto quando assume l’aspetto di un tabù inviolabile da difendere con tutti i mezzi.

Maurizio Pallante

Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/20/fossi-laureato-economia-lettere/192440/
20.02.2013