martedì 18 giugno 2013

Da Brasilia a Rio de Janeiro

Avevo cominciato a scrivere questo post un mese fa quando ero ancora a Brasilia. Più volte l’ho ripreso in mano, avendo già nella testa idee su cosa volessi scrivere, più volte l’ho abbandonato, un po’ annoiata dalle mie stesse idee, un po’ da una città che, mi spiace ammettere, non è stata delle più stimolanti. Ora sono a Rio de Janeiro e, come vado a scrivere più avanti, sono tornati gli stimoli e la voglia di scrivere. Eccomi qua quindi, per concludere quanto ho da dire su Brasilia e aggiungo un pezzettino di questo appena primo, nuovo, giorno carioca.

È ormai quasi un mese che sono a Brasilia, metà del tempo, ancora mancano circa 3 settimane.
Un po’ annoiata, lavoro a parte, la città non offre molto. O meglio, offre molti centri commerciali, qualche locale carino, un lago artificiale (le cui acque pare ricoprano le abitazioni degli operai che hanno costruito la città negli anni cinquanta), una passeggiata di un’oretta nel centro, una cascata, e sembra essere tutto.
Procedo con ordine. Dal lunedì al venerdì la città è piena di traffico, di persone, di lavoratori. Nel week end si svuota abbastanza ed è difficile trovare qualcosa da fare. I centri commerciali, e qualche localino, ahimè, sono l’unico punto di ritrovo tra persone ma la cosa che personalmente patisco di più è l’impossibilità di uscire e, semplicemente, fare una passeggiata. Come avevo già notato Brasilia non è a misura di pedone. Attraversare la strada è come giocare alla roulette russa: corri pregando di non essere investito da una macchina che potrebbe svoltare un angolo a tutta velocità da un momento all’altro. Attraversamenti pedonali pochi e non ragionati.
La mancanza di una dimensione da pedone fa sì che anche le strade ed i negozi non siano pensati per i pedoni. Pochi marciapiedi, non ci sono - nel centro specialmente - negozi, bar o locali con spazi aperti in cui fare una sosta dopo una passeggiata.  Mi rendo così conto di quanto io sia legata ad una dimensione di vita in cui poter uscire di casa semplicemente per camminare, e di quanto fermarsi ad un baretto per bere un caffè, per una sosta o per un aperitivo è un piacere insostituibile. Tutto questo mi manca assai.
La città è volutamente costruita a zone, quindi una zona centrale di uffici, musei, il teatro, i ministeri, una zona di soli alberghi (ecco dove sono io), zone di soli negozi (centri commerciali) e tante zone residenziali, concentrazione di case e ville. Ci sono poi periferie un po’ più mescolate e con negozi anche sulla strada.
Comunque, al di là delle difficoltà  che si incontrano per fare una passeggiata, io c’ho provato lo stesso e mi sono incamminata verso il centro, un’area rettangolare di non so quanti metri quadrati, percorribile in circa due ore a piedi, forse anche meno, in cui si possono osservare le opere d’arte che caratterizzano la città: la spianata dei ministeri, una serie di edifici tutti uguali, i ministeri appunto, che nel mio immaginario fanno molto unione sovietica. 

La cattedrale di Brasilia costruita da Oscar Niemeyer, una struttura molto particolare che però - mi perdonino gli architetti, gli appassionati del genere e quelli che vivono in un paesino del sud d’Italia – fa molto chiesa di provincia del paesino del sud Italia che vuole avere la chiesa d’avanguardia. 

Comunque, entrando dentro, le vetrate colorate creano una luce molto piacevole con degli angeli appesi, effetto molto kitsch, che nella mia testa han reiterato quell’idea da paesino del sud Italia. 

Mi è piaciuto assai il Museo Nazionale, una semisfera con anelli che fa pensare ad un saturno che spunta dal pavimento, bello.

C’è una cosa che ti fa rendere conto di quanto in città ci sia ben poco da vedere, ed è che una delle attrazioni turistiche principali è la torre televisiva (una mega antenna) in cui si può salire e ammirare la città dall’alto.

Per chi conosce Roma, Brasilia fa pensare molto al quartiere Eur, sia negli esempi di architettura monumentale – non a caso anche all’Eur sedi di ministeri e uffici - sia nelle palazzine abitative di stile anni ’50/’60 (che gli architetti perdonino la mia eventuale ignoranza).

Ecco Brasilia, nel mio immaginario, è un incrocio tra un enorme (ma enorme) quartiere tipo Eur di Roma (senza i bei viali alberati dove poter fare passeggiate) e il Truman Show. Mi spiego: Brasilia è fondamentalmente una città fatta e costruita per lavorare, quindi, la giornata tipo della città (e delle persone) è un po’ come quella giornata fittizia che si vede appunto nel Truman Show. Ci si sveglia la mattina, traffico, si va a lavorare, pausa pranzo, traffico, si torna a lavorare, ore 17/18 chiudono gli uffici e tutti in macchina – stradoni a 6/8 corsie completamente bloccati – traffico verso i quartieri residenziali più o meno ricchi. Durante il weekend la città, in particolare il centro degli uffici, si svuota.
E c’è persino il lago (ma non ho visto nessuno tentare di fuggire verso le isole Fiji sopra una barchetta).
Ecco il Truman Show, in questa città pensata e costruita attorno al mondo della burocrazia e del lavoro. Ora, mi scuso con tutte quelle persone che vivono a Brasilia, che amano Brasilia e sicuramente ci vedono molto più di quello che ci ho visto io, che forse, sono stata fin troppo pigra per esplorare meglio questo scenario un po’ cinematografico che, a differenza del cinema, mostra anche gli aspetti più radicali e negativi di questa società, apparentemente pulita, ordinata e regolare, radicata intorno al mondo dei ministeri.
La sera – ma non solo – per le strade si vedono camminare anime di “disperati: crackeiros e prostitute” come li hanno definiti diversi residenti - pare che il crack sia una droga molto diffusa nella fascia povera della popolazione – che vagabondano per la città fantasma.
Non mi soffermo di più su questo problema perché non ne so di più. A questo si aggiunge la descrizione di queste aree urbane nella provincia di Brasilia, molto povere e densamente popolate dai così detti “schiavi” che ogni giorno si recano a lavorare nella capitale, per la capitale. Ma anche su questo non so e non posso dire di più se non quanto ascoltato da bocche altrui.
In realtà io stessa ho visto e vissuto molto di più di quanto si potrebbe pensare da queste parole: un bagno al lago in un tramonto mozzafiato,una cascata introvabile da Libro delle Giungla, una miriade di cieli e tramonti indimenticabili e tante, tante persone meravigliose sulle quali non mi soffermo solo perché non basterebbero le parole. Insomma, nonostante la città in sé non mi abbia parlato tanto, forse al posto della città a parlarmi e a colpirmi sono stati alcuni momenti e alcune persone, solari, aperte, sorridenti.




Su Brasilia è più o meno tutto, in 2 mesi di permanenza potrebbe sembrare un po’ pochino, ma c’è stato in mezzo anche tanto lavoro e, in più, come ho detto, la monotonia della città, ha impigrito il corpo ad esplorare di più e la mente a scrivere. Ciò non toglie nulla alla bella esperienza che ho fatto in questa capitale Brasiliana.

Ora sono a Rio e già scendere dall’aereo mi ha fatto percepire l’atmosfera differente. L’aria è umida ed appiccicaticcia, fa più caldo ma tutto mi è molto più familiare nonostante abbia vissuto ancora troppo poco questa città. Qua c’è gente che cammina, balla, lavora, si sposta per la strada, vita, profumi e cattivi odori, chiacchiere, urla, bisbiglii. Le strade sono vita, di qualsiasi tipo, movimento, colori,  musica, sapori, odori. È questo che mi piace. È camminare e scoprire, angoli, spazi aperti, l’oceano, la spiaggia, le viuzze, i baretti puzzolenti con i vecchietti che guardano le partite di calcio bevendo la birra. La musica che esce da una finestra aperta sulla strada, l’odore di baccalà fritto che arriva da un posto non ben definito e si mescola con altri millemila odori di altri posti non ben definiti. La città che addomestica la giungla e cresce prepotentemente tra le montagne che a loro volta crescono maestosamente dal mare creando un paesaggio unico. Questa sì che è la mia dimensione, quella dimensione che incrocia paesaggio naturale con paesaggio urbano.  Quel mescolamento di tutto – luoghi, culture, persone - che potrà essere meno rassicurante di una città apparentemente pulita e impeccabile, ma è sicuramente più umano, perché in fondo dove c’è l’umanità, quella più vera, di rassicurante unico e sicuro c’è ben poco, ma tanto c’è di vitalità. 
Eccomi quindi pronta a godermela questa umanità, in pieno. E si comincia da poco, da una fila al supermercato per esempio, una lentissima fila. Una bambina vivacissima e ricciolissima mi passa tra le gambe, tocca le persone, tocca le cose, le sposta, si arrampica sulle casse, la nonna povera non riesce a starle dietro e quasi arresa a tanta energia la lascia fare. Mi distraggo un attimo e di nuovo la vedo arrampicata come un koala a testa in giù su uno scorri-mano, poi vedo il suo sguardo catturato da qualcosa e lei che urla “eu quero, eu querooo” (lo voglio, lo vogliooo)….scena già vista in un supermercato (mi basta pensare a mia nipote davanti alla cioccolata, che nostalgia!)….se non fosse che la bimba in questione non voleva cioccolata ma indicava un pappagallo ben verde, trnquillamente adagiato sulla spalla di una signora che, come se fosse la cosa più normale del mondo e con un viso ben sorridente, continuava a bisbigliargli cose “nell’orecchio”. Anche io come la bambina mi incanto a guardare. E, tra un bisbiglio e l’altro, la signora e il pappagallo si baciavano, prima sulla guancia, poi becco con bocca e poi lingua con lingua, una vera e propria storia d’amore! Ed è così che a Rio de Janeiro, la lentezza di una cassiera al supermercato si trasforma nella possibilità di godere di piccole grandi impensabili cose. Di stimoli che, dopo tanto tempo, riaprono il cassetto delle cose da dire e la voglia di dirle, e, di nuovo, eccomi qua. Evviva.


E un pensiero mentre scrivo va alla strada di cui ho parlato sopra, quella caotica e piena di stimoli ed in cui ora la gente manifesta, perché anche qua di problemi ce ne sono, e tanti. Ma questa è un'altra storia, per un altro momento.